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configurazione mergnanese

 

Ai disturbi della memoria, infatti, sono legate le intermittenze del cuore. è sicuramente l’esistenza del nostro corpo, simile per noi a un vaso in cui fosse racchiusa la nostra spiritualità, a farci supporre che tutti i nostri beni interiori, le nostre gioie passate, tutti i nostri dolori, siano perennemente in nostro possesso. Forse, è altrettanto inesatto credere che se ne vadano e ritornino. In ogni caso, se rimangono dentro di noi, rimangono per la maggior parte del tempo in una regione sconosciuta, dove non ci sono di alcun giovamento e dove anche i più usuali vengono ricacciati indietro da ricordi di diversa natura, che escludono ogni simultaneità con essi all’interno della coscienza. Ma non appena si ricostruisce la cornice di sensazioni in cui si sono conservati, essi acquistano a loro volta il medesimo potere d’espellere tutto quanto sia incompatibile con loro, installando in noi, solitario, l’io che li ha vissuti.

(…)

L’io che io ero allora, e che da tanto era scomparso, m’era di nuovo così vicino che mi sembrava ancora di sentire le parole pronunciate subito prima e che, tuttavia, non erano più che un sogno, così come un uomo non ancora ben desto crede di percepire proprio accanto a sé i rumori del suo sogno che svanisce.

da Sodoma e Gomorra- Le intermittenze del cuore, Marcel Proust, Mondadori, trad.di Giovanni Raboni

su chi si innamora in sogno


mara cerri

Ogni amore deve necessariamente avere una causa da cui trarre origine. Io comincerò con la più remota, affinché l’esposizione proceda con ordine, sebbene si usi cominciare da ciò che è più facile e comune. Tra le cause dell’amore ce n’è dunque una che, se non avessi direttamente osservato, non menzionerei, tanto è strana. Il caso fu questo. Andai un giorno a far visita al nostro amico Abu s-Sari Ammàr ibn Ziyàd, liberto di al-Muayyad, e lo trovai pensoso. Gli chiesi cosa avesse, e per un po’ si schermì, ma poi disse: “Una cosa stranissima, mai udita”, “E che sarebbe?”. “Ho visto in sogno, stanotte, una fanciulla, e mi sono svegliato col cuore preso e follemente innamorato di lei; e ora mi trovo in uno stato quanto mai penoso per amor suo”. Egli restò così per molti giorni, oltre un mese, crucciato e triste, senza che nulla potesse guarire la passione che lo tormentava. Allora lo rimproverai e gli dissi: “è un grave errore che tu stia ad angustiarti l’animo per una cosa inconsistente, a farti irretire l’immaginazione da un oggetto irreale, che non esiste. Sai tu chi sia quella donna?”. “No, per Allàh”. “Allora” ripresi “hai ben poco senno e sei malato nell’intelletto, se mai chi non hai mai visto, chi non è mai nato né esiste al mondo. Se ti fossi innamorato di un’immagine dipinta, di quelle che sono nei bagni, saresti più scusabile ai miei occhi”, e continuai così a insistere con lui finché si diede pace, sia pur non senza fatica.
Si trattava, a mio avviso, di un caso di suggestione, di confusa allucinazione della mente, rientrante nel novero dei desideri repressi e delle fantasie. A tal riguardo ho scritto questi versi:

Saper vorrei chi fosse, e come sia venuta di notte! Era il volto del
sole o della luna?
Fu una parvenza dell’intelletto, manifestata dal suo stesso lavorio, o
un’immagine dello spirito evocato dalla mia stessa speranza, che la vista ha
creduto di percepire?
Oppure nulla di tutto ciò, ed è stato un evento riservatomi dal
destino come causa di morte?

da Il collare della colomba, Ibn Hazm, SE Studio Editoriale, trad.di Francesco Gabrieli

 


mara cerri

 

radicamento nella configurazione


la storia di una bicicletta, di Ribes Sappa

I miei ricordi non sbiadiscono. I ricordi del mio presunto passato sono chiari come gli istanti del presente. Rammento di essermi alzata dal lettino dopo un sonnellino quando avevo un anno e mezzo, con la stessa intensità con cui rammento l’essermi alzata stamattina. ma non si dice sempre che i ricordi diventano meno chiari con il passare del tempo? Tutti questi fatti mi rimangono in mente come eventi singoli; è raro che li pensi in relazione ad altri momenti che li hanno preceduti o seguiti. Mi sembra a volte che la mia memoria sia una roccia sedimentaria, come se tutti i momenti che la compongono si siano compattati, mentre gli elementi di collegamento-il tempo che pensavo li tenesse insieme-sono stati spazzati via dal vento. Sono pensieri che esistono simultaneamente, ma che mi si rivelano a uno a uno. Ho sempre avuto la sensazione che i momenti separati dallo spazio lo fossero più intensamente di quelli percepiti come separati nel tempo. Non mi è chiaro però cosa provochi questo senso di interconnessione: che tipo di relazione può esserci tra i vari istanti? Non una relazione lineare, certo, ma piuttosto una certa empatia tra di loro. In un certo senso,penso ci sia una consapevolezza inconscia del fatto che esistono altri momenti che avvengono simultaneamente, e che ci può essere un riconoscimento reciproco tra istanti in un contesto simile.

da una lettera di Gretchen Mills Kubasiak citata ne La fine del tempo. La rivoluzione fisica prossima ventura, di Julian Barbour, Einaudi

mi sono annegata

Mai avuto un solo pensiero che non fosse la paura, se mi rivolgevo all’estate in cui ‘mi sono annegata’. Dentro di me chiamavo ogni dolcezza struggente, ogni nostalgia con un mio ‘quando mi sono annegata’, ma non avrei saputo dire perché. Persa la emozione, restava un nome. Da grande, talvolta anche adesso, quando sempre più raramente incontro la magia di un amore, un richiamo più intenso o la voglia di fermarmi in un luogo, in un albero o in una confidenza, sento che è come ‘quando mi sono annegata’.

da L’ombra ripresa, Elia Malagò, Tre Lune Edizioni

 

la macchina del tempo

 

In rete uno sconosciuto carica una foto/un video di un momento non necessariamente importante della propria vita: immaginiamo che questo signore scelga la foto di gruppo che ritrae un divertente bagno di mezzanotte alla Secca di Moneglia, immortalato nei primi minuti del 13 agosto 1991 e immaginiamo
ora che, proprio e solo in questa foto, si veda sullo sfondo il terrazzino della camera numero 12 dell’Hotel Leopold e un signore che fuma una sigaretta (la sua ultima). Lo sconosciuto carica la foto/il video su facebook o su youtube indicizzando con la seguente dicitura “La Secca, Moneglia, 13 agosto 1991″.
Ora invece ecco un’altra persona che sceglie di caricare in rete la foto o il video di una serie di onde di una mareggiata a Moneglia avvenuta in un giorno di luglio alla fine degli anni ’70 e, per caso o per scelta, include nello sguardo dell’obiettivo l’ abbraccio salvifico di un bambino intorno al piccolo tronco di una bambina che arriverà ad essere un albero carico di frutti grati.

Questa è la mia macchina del tempo. Io non potrò viaggiare fino alla mia infanzia, ma grazie alla precisa
indicizzazione di ciascuna foto e di ciascun video, forse i miei figli potranno viaggiare nel proprio tempo (non quello scelto dall’occhio dei genitori), almeno virtualmente.

Le foto che si scattano in famiglia e tra amici non sono davvero quelle rappresentative degli istanti di “radicamento”. Le foto/i video scattate/ripresi da sconosciuti possono invece casualmente cristallizzare quei momenti. La foto della bambina che rotola sulla sabbia, immaginando di lottare con il lupo, non sarà memorabile per lei (che giocava alla lotta ma non è uscita mutata dal gioco): sarà solo una bella foto, ben scattata, forse poetica.

 

Ci si radica inconsapevolmente, non è possibile riconoscere un momento come importante (e quindi scegliere di fotografarlo) mentre lo si vive. Non si può essere testimoni della propria vita (artificio dell’autobiografia).

L’unica foto che mi sorprende in uno dei momenti di ‘radicamento’ è quella che chiamo “Una giornata perfetta”: mio padre la scattò in un giardino labirintico e a terrazze a Molinetti di Recco nel 1979 e lui fu uno sconosciuto inconsapevole  dell’importanza di quell’istante; altrimenti non avrebbe scattato la foto.

 

Se volete donare una macchina del tempo ai posteri, indicizzate esattamente le foto e i video oppure seguite l’articolo di Chiara Somajni nell’inserto Domenica del Sole 24 ore del 30 maggio 2010

http://www.librinecessari.it/macchina del tempo.jpg

per alan

 

Isabella e Giacomo Disvetri

 

 

[…] Se noi avessimo mai il dono di cantare il pianto e il rancore, la
disperazione e l’ostinata speranza, la previsione dell’amarezza e l’impossibile
rinuncia all’amore disperso, in mezzo ai disastri del mondo e all’implacabile
andare del tempo o dell’uomo che sia; noi vorremmo dire, con la certezza di
darne il senso e l’idea, quale era, nei suoi indelimitabili contorni, la
panoramica del ricordo della Basca nei pensieri e negli strappi di Giacomo
Disvetri vent’anni dopo il suo unico e assoluto incontro.

Se noi fossimo la Luna in persona, come lo era la Basca e come lo è tutt’ora
nel pensiero di lui (e adesso anche nel nostro), noi diremmo, con singolare
chiarezza, la storia più strana e illimitata che natural mente umana possa
concepire.

Se noi fossimo le stelle ch’erano in cielo quelle notti lontane, e tuttavia
così vicine al nostro cuore, racconteremmo milioni di storielle, con fiori e
montagne, case bianche scrostate e disperse, e minimi vaghi delitti colpevoli
della più ignobile innocenza.

Se noi fossimo il sole, il grande spettatore di quell’insonne mattino, con un
soffio daremmo fuoco alle nostre angoscie [così nel testo, ndr] perché
sprizzassero in ogni punto dell’universo. E se davvero il sole ardesse nella
nostra mente, incendieremmo il cuore di tutti perché in ognuno si facesse vivo
il ricordo di lei.

Pure essendo luna, stelle, sole, non potremmo dir niente che avesse qualcosa
da dire. Quel qualcosa che è sulla bocca di tutti, e che nella nostra si spegne
nell’inconsolabile disperazione.

Ma essendo ciò che noi siamo, che altro ci resta da fare se non quel pàffete
conclusivo, quella caduta nell’abisso – ch’è quanto può definire nel nostro
cuore l’irrimediabile tragedia di questo ricordo?

Ché se la fede poi fosse ancor viva in Giacomo Disvetri, allora potremmo
mormorare con lui, in una tenerezza piena di rancore e di speranza (come quella
sera che il paese era vuoto della Basca).

«Forse lei non verrà più – forse l’uccideranno – ma il mio cuore è ucciso –
prima che lei sia rapita. – Che cosa devo fare – se non aspettare? – Se non
aspettare la morte – con la quale sarò costretta tradirla. – Se io non fossi
sicuro – che in qualche modo la ritroverò – o prima o dopo – già da qualche ora
– il mio cuore sarebbe tranquillo.»

In silenzio dunque voglio restare, per vederti mia stella, amata e graziosa. E
semmai il canto mi sorgesse improvviso, allora dormi serenamente: poiché, se
anche la mia voce non riuscisse a dar suoni, ugualmente il mio cuore vorrebbe
che fosse un canto, un sogno notturno per te, un sogno che non avrà mai fine,
poiché sempre sarò alla finestra per guardarti.

Ene izar maitea

ene charmagarria

ichilik zure ikhustera

yten nitzaitu leihora;

koblatzen dudalarik,

zande lokharturik:

gabazko ametsa belala

ene canuta zaïtzula

da Il ricordo della Basca di Antonio Delfini, Garzanti

 

 

Nove fiate già appresso lo mio nascimento era tornato lo cielo de la luce quasi a un medesimo punto, quanto a la sua propria girazione, quando a li miei occhi apparve prima la gloriosa donna de la mia mente, la quale fu chiamata da molti Beatrice li quali non sapevano che si chiamare. Ella era in questa vita già stata tanto, che ne lo suo tempo lo cielo stellato era mosso verso la parte d’oriente de le dodici parti l’una d’un grado, sì che quasi dal principio del suo anno nono apparve a me, ed io la vidi quasi da la fine del mio nono.
Apparve vestita di nobilissimo colore, umile e onesto, sanguigno, cinta e ornata a la guisa che a la sua giovanissima etade si convenia. In quello punto dico veracemente che lo spirito de la vita, la quale dimora ne la secretissima camera de lo cuore, cominciò a tremare sì fortemente, che apparia ne li menimi polsi orribilmente; e tremando disse queste parole: “Ecce deus fortior me, qui veniens dominabitur mihi”.

da Vita nuova, Dante Alighieri
 

Una giornata perfetta

“Nella nebbia indifferente delle cose il dio fa brillare la cosa che all’organismo è utile: e l’organismo vi contende come in quella avesse a saziar tutta la sua fame, come quella gli dovesse dar tutta la vita: l’ASSOLUTA PERSUASIONE; ma il dio sapiente spegne la luce quando l’abuso toglierebbe l’uso; e l’animale sazio solo in riguardo a quella cosa si volge dove gli appaia un’altra luce che il dio benevole gli accende; ed a questi contende con tutta la sua speranza; finché ancora la luce si spenga per riaccendersi in un altro punto”(…) “e in quella luce BRILLA TUTTO IL FUTURO DELL’ANIMALE: nell’inseguire un altro animale, la possibilità del mangiare, del dormire, del bere, del giacere; nel mangiare, la possibilità di correre, del riposare, etc etc. Per tal modo adulando l’animale ogni volta con argomenti della sua stessa vita, il saggio dio lo conduce attraverso l’oscurità delle cose con la sua scia luminosa perch’egli possa CONTINUARE e NON ESSERE PERSUASO MAI,-finché un inciampo non faccia cessare il triste gioco. Questo dio benevolo e prudente è il dio della FILOPSICHIA (amore alla vita, viltà) e la LUCE è il PIACERE”

da La persuasione e la rettorica, Carlo Michelstaedter, Adelphi