andare al nòcciolo, al centro

Una penombra come quella del mondo esterno gli oscurava la mente, mentre ascoltava gli zoccoli della cavalla strepitare sulle rotaie della Rock Road e il gran recipiente dietro scuotersi e sbatacchiare.
Ritornava a Mercedes e, mentre rimuginava sulla sua immagine, gli entrava nel sangue un’inquietudine strana. Talvolta una febbre si impadroniva di lui e lo portava a vagabondare nella sera per il viale tranquillo. La pace dei giardini e le luci benevole alle finestre gli versavano un tenero influsso sul cuore irrequieto. Il rumore dei ragazzi che giocavano lo disturbava e le loro voci sciocche gli facevano sentire, anche più acutamente che non avesse sentito a Clongowes, che lui era differente dagli altri. Non aveva desiderio di giocare. Aveva desiderio d’incontrare nel mondo reale l’immagine incorporea che la sua anima contemplava tanto costantemente. Non sapeva dove cercarla o come, ma un preannuncio che lo guidava gli diceva che questa immagine, senza nessun atto aperto da parte sua, gli sarebbe venuta incontro. Si sarebbero incontrati tranquillamente come se si fossero conosciuti e avessero già fissato il loro convegno, forse a uno di quei cancelli o in qualche luogo più segreto. Sarebbero stati soli, circondati dall’oscurità e dal silenzio: e in quell’attimo di tenerezza suprema Stephen sarebbe svanito, sotto quegli occhi, in qualcosa di impalpabile e poi, in un attimo, si sarebbe trasfigurato. In quel magico istante la debolezza, la timidezza e l’inesperienza sarebbero cadute da lui.

da Dedalus. Ritratto dell’artista da giovane, James Joyce, Adelphi, trad.di Cesare Pavese

1,2,3,4,5,6,7,8,9,10


Saul Steinberg

All’estremità si stendevano ben allineate le cinque dita, che partendo dal mignolo si allungavano gradualmente verso la punta dell’alluce: ciò mi pareva molto più bello delle fattezze del suo viso. Lineamenti come i suoi si trovano anche in altre donne, ma non avevo mai visto, fino ad allora, piedi così regolari e così splendidi. Quando hanno il collo piatto in modo sgradevole e le dita divaricate che lasciano intravedere le fessure, provocano la stessa spiacevole sensazione di un brutto viso. Al contrario, il collo del suo piede era ben in carne e le cinque dita ben accostate come la lettera inglese “m” e allineate in ordine come una fila di denti.

da I piedi di Fumiko, Tanizaki Jun’ichiro, Marsilio

gli amici di julian barbour

 

Il rifiuto della “geometria piana”, di cui Proust parla, è anche rifiuto del moto uniforme. Questo nemico del tempo degli orologi, per unità successive, con moto discontinuo. L’effetto di continuo è ottenuto mediante scatti tendenzialmente isocroni, ognuno dei quali è il periodo. Un periodo mai diretto e paratattico ma avvolto su se stesso, elicoidale.

 

(…)

 

È come se guardassimo entro un grande orologio: la tensione della molla maggiore ingrana successive ruote dentate, ognuna con una frazione di ritardo sull’altra; e, quando potresti credere che non ce la faccia più, ecco lo spostamento della lancetta è avvenuto tutt’a un tratto e tutto è avanzato di una unità. Subentra allora un attimo di silenzio, prima che ricominci l’ostinato sforzo di sommuovere ancora una volta un congegno denso di parole. La tensione, o energia, di ogni singolo periodo è, come si è detto, di natura raziocinante; obbedisce ad una meccanica classica, aborre dall’imprecisione non dal vuoto, ogni incertezza rinserra nel suo decorso e ribatte nelle sue clausole. Ma dove invece Proust svela di essere davvero al di là di ogni meccanica classica è nella qualità fluida instabile della forza di coesione che lega periodo a periodo. Questi non si compenetrano: si giustappongono.

 

(…)

 

La vittoria sul tempo non è ottenuta solo col recupero di quello “perduto” o col bronzo dell’opera ma proprio, per antifrasi, svolgendo permutazioni che nel tempo si distruggono a vicenda, che celebrano tremende ma infine futili vittorie ed evocano per converso una identità raccolta e intera, un presente istantaneo ed eterno.

da Verifica dei poteri, Franco Fortini, Garzanti

Lo Scorrevole, Vettor Pisani

tu ridi.- bene. – fai dell’amarezza

fernando botero

Tu ridi.- Bene. – Fai dell’amarezza,
prendi la piega, Mefisto burlone,
dell’assenzio! e il tuo labbro sbava…
Dirai che ti viene dal cuore.

Fai di te la tua opera postuma,
mutila l’amore…l’amore-lungaggine!
Il tuo polmone cicatrizzato aspira
miasmi di gloria, o vincitore!

Basta, non è vero? Vattene. Lascia
la tua borsa – ultima amante –
la tua pistola – ultima amica…

Tipo buffo di fallito!
… O resta e bevi la feccia di vita
sopra una tavola sparecchiata…

da Morticino per ridere e altre poesie da Gli amori gialli, Tristan Corbière, Via del Vento Edizioni, a cura di Pasquale di Palmo
prendiprendi la piega 

io vengo, vengo, apri la porta!


francesco balsamo

 

I tuoi giorni solo per questo ti sono stati dati:
perché la vita degli altri, come un disegno, vi si intessa.

da Poeti estoniL’ospite indesiderato, Marie Under, Edizioni Abete, a cura di Margherita Guidacci e Vello Salo

Sul marciapiede opposto passano due negri. Un vecchio triestino, con la moglie, commenta la loro negritudine. Io, tra me e me, commento la triestinità del triestino. Chissà come commenterà lui, appena avrà finito di guardarmi, e cosa penserà adesso, che col mio aspetto evidentemente forestiero, proprio adesso che sta arrivando l’autobus, mi giro e vado via.

da Lo stadio di Wimbledon, Daniele Del Giudice, Einaudi
     

un altro motivo per cui non tengo una pistola in casa

Edward Hopper
 

Il cane dei vicini non smette di abbaiare.
Abbaia sempre con lo stesso alto, ritmico abbaio
che abbaia ogni volta che vanno fuori.
Si vede che lo accendono quando escono.

Il cane dei vicini non smette di abbaiare.
Chiudo tutte le finestre di casa
e metto una sinfonia di Beethoven al massimo
ma lo sento ancora ovattato sotto la musica,
che abbaia e abbaia e abbaia,

e ora lo vedo seduto nell’orchestra
a testa alta e sicura come se Beethoven
avesse inserito una parte per cane che abbaia.

Quando alla fine il disco finisce abbaia ancora,
seduto là, nella sezione degli oboe, abbaia,
con gli occhi fissi sul direttore che lo
guida con la sua bacchetta

mentre gli altri musicisti ascoltano in rispettoso
silenzio il famoso assolo per cane che abbaia,
coda infinita e causa prima dell’affermarsi
di Beethoven come genio innovativo.

Billy Collins, trad.di Franco Nasi, tratto dalla rivista Poesia 264 ottobre 2011, Crocetti Editore

sotto il doppio mento di Carlo Emilio Gadda