la devozione

VII

Me felice, notte, notte piena di fulgore;
Divano reso felice dalle mie lunghe dilettazioni;
Quante parole ci siamo dette con abbondanza di candele;
Risse quando le luci furono tolte;
Ora a seno nudo mi faceva la lotta,
Frapponendo la tunica a indugio;
Poi mi apriva le palpebre cadute nel sonno,
con sopra la bocca, e le labbra dicevano: già stanco?

In amplessi quanto vari, le nostre mobili braccia,
I suoi baci, indugianti sulle mie labbra.
“Non fare di Venere un moto cieco,
Gli occhi sono guida all’amore,
Paride prese Elena che usciva nuda
dal letto di Menelao,
Il corpo nudo di Endimione, luminosa esca per Diana”
….così almeno raccontano.

Finché i nostri fati s’intrecciano,
saziamo i nostri occhi d’amore;
Poiché una lunga notte ci sorprende
e  un giorno che non riporta il giorno.
Che gli dei ci mettano in catene
tali che nessun giorno le sciolga.

Pazzo chi vuol porre limite alla follia amorosa:
Il sole guiderà cavalli neri,
la terra frutterà grano dall’orzo,
La piena procederà verso la sorgente
Prima che amore conosca moderazione,
I pesci nuoteranno in fiumi asciutti.

No, il frutto della vita
finché c’è dato non farlo cessare.

Perdono i petali le ghirlande secche,
s’intrecciano di steli le ceste,
Oggi il respiro profondo degli amanti,
domani la sorte ci imprigiona.

Dammi tutti i tuoi baci
e sono sempre pochi.

Né posso spostare le pene su un’altra,
Suo sarò anche morto,
Se lei mi concederà di tali notti
lunga è la vita, lunga d’anni,
Se me ne darà molte
Sono un dio al momento.

da Omaggio a Sesto Properzio, Ezra Pound, SE Studio Editoriale, a cura di Massimo Bacigalupo

ai cari

I poeti celebrati,
Sempre con slancio letti, riletti, meditati;
Gli Dei, l’uomo, il cielo, la natura sacra
Sempre studiata, ammirata, adorata,
Ecco i nostri maestri santi, le nostre guide luminose.

(…)

Attento ai racconti dei viaggiatori lontani,
Sulle carte sapienti ov’è tracciato il mondo,
Correvo con loro dal tramonto all’aurora.
Fertile in sogni vani che ancora mi sono cari,
Andavo ovunque, ovunque ben presto a mio agio,
Amando tutti gli uomini, da tutti quanti amato.

da Poesie, André Chénier, Einaudi, trad. di Benedetta D’Amico Craveri

eros e tànatos

(…)

Eros: Nulla di brutto, e anzi parole di conforto. Iacinto imparò che il signore di Delo con quegli occhi indicibili e quella pacata parola aveva visto e trattato molte cose nel modo che potevano anche a lui toccare un giorno. L’ospite discorreva anche di lui, della sua sorte. La vita spicciola di Amicle gli era chiara e familiare. Faceva progetti. Trattava Iacinto come un eguale e coetaneo, e i nomi di Aglaja, di Eurinòme, di Auxò – donne lontane e sorridenti, donne giovani, vissute con l’ospite in misteriosa intimità – venivano detti con noncuranza tranquilla, con un gusto indolente che a Iacinto faceva rabbrividire il cuore. Questo lo stato del ragazzo. Davanti al signore ogni cosa era agevole, chiara. A Iacinto pareva di potere ogni cosa.

Tànatos: Ho conosciuto altri mortali. E più esperti, più saggi, più forti che Iacinto. Tutti distrusse questa smania di potere ogni cosa.

Eros: Mio caro, in Iacinto non fu che speranza, una trepida speranza di somigliarsi all’ospite. Né il Radioso raccolse l’entusiasmo che leggeva in quegli occhi – gli bastò suscitarlo-, lui scorgeva già allora negli occhi e nei riccioli il bel fiore chiazzato ch’era la sorte di Iacinto. Non pensò né a parole né a lacrime. Era venuto per vedere un fiore. Questo fiore doveva essere degno di lui – meraviglioso e familiare, come il ricordo delle Càriti. E con calma indolenza creò questo fiore.

Tànatos: Siamo cose feroci, noialtri immortali. Io mi chiedo fin dove gli Olimpici faranno il destino. Tutto osare può darsi distrugga anche loro.

Eros: Chi può dirlo? Dai tempi del caos non si è visto che sangue. Sangue d’uomini, di mostri e di dèi. Si comincia e si muore nel sangue. Tu come credi di esser nato?

Tànatos: Che per nascere occorra morire, lo sanno anche gli uomini. Non lo sanno gli Olimpici. Se lo sono scordato. Loro durano in un mondo che passa. Non esistono: sono. Ogni loro capriccio è una legge fatale. Per esprimere un fiore distruggono un uomo.

Eros: Sì, Tànatos. Ma non vogliamo tener conto dei ricchi pensieri che Iacinto incontrò? Quell’ansiosa speranza che fu il suo morire fu pure il suo nascere. Era un giovane inconscio, un poco assorto, annebbiato d’infanzia, il figliolo d’Amicle, re modesto di modesta terra – che cosa sarebbe stato senza l’ospite di Delo?

Tànatos: Un uomo tra gli uomini, Eros.

Eros: Lo so. E so pure che alla sorte non si sfugge. Ma non son uso intenerirmi su un capriccio. Iacinto ha vissuto dei giorni nell’ombra di una luce. Non gli mancò, della gioia perfetta, nemmeno la fine rapida e amara. Quella che Olpimpici e immortali non conoscono. Che altro vorresti, Tànatos, per lui?

Tànatos: Che il Radioso lo piangesse con noi.

Eros: Tu chiedi troppo, Tànatos.

da Dialoghi con Leucò- Il Fiore, Cesare Pavese, Einaudi

il prezzo dell’eternità


foto di André Kertesz

La responsabilità dei pittori, come di tutti coloro ai quali è dolorosamente toccato in sorte d’impedire, nel modo espressivo in cui si dedicano, la sopravvivenza del segno alla cosa significata, mi sembra oggi pesante e sopportata in genere piuttosto male. Eppure è il prezzo dell’eternità.

da Il surrealismo e la pittura, André Breton, Abscondita, trad.di Ettore Capriolo

i letterati

I letterati son la base delle civiltà (ne garantiscono la continuità) e al contempo un’istanza distruttrice, un sostegno e una minaccia: permettono la costituzione di un ordine, ma sono anche partecipi della contestazione rivolta a quell’ordine. Perché la forza dei testi del passato è proprio quella di essere stati, cioè di non essere (o non essere più); e se la rivoluzione consiste nel sostituire all’esistente il non-esistente, allora non vi è nulla di più rivoluzionario del passato. Ciò che sorge dal presente lo rinforza: ne è il semplice sviluppo. Ma la permanenza contro natura di ciò che ha a che fare  con il passato, tornando, distrugge il presente, pur avendolo prodotto. Anzi, proprio perché lo ha prodotto.
è questo il vero scopo della pratica e dell’insegnamento delle lettere al giorno d’oggi: mantenere attivo il doppio postulato della letteratura, considerata al tempo stesso come espressione del reale e come potere di distacco dalla realtà; lasciarsi demolire da quei testi che hanno costruito il nostro mondo, che hanno costruito noi e che, allo stesso tempo, non sono noi; oppure, al contrario, demolirli, che è poi lo stesso. La differenza tra cultura e intrattenimento (entertainment) emerge proprio qui, con grande precisione.

da Il letterato: usi e costumi. Da Confucio a Barthes, la storia bizzarra di una specie anomala, di William Marx, Guanda, trad.di Marcella Uberti-Bona

Grazie a Federico Fantinel: benedico la grandezza con cui eserciti il tuo potere

 

ti confesserò ora altre mie vergogne

B., ti confesserò ora altre mie vergogne:

spero sempre di sposarti –
quando soffrivo mi mostravo a te, per farti effetto –
il piacere più delirante che conosco è quello di essere compassionato –
per “sentire” la politica devo fare uno sforzo –
con tutti mi do arie di non darmi arie –
quando ti ho detto “ognuno ha la sua tisi”, pensavo di farti effetto più che un’altra frase-
c’è stata un’interruzione puttanesca ai famosi cinque anni di castità cavalleresca di cui mi vanto –
dicendo questo, mi lusingavo che una interruzione così confessata forse avrebbe fatto più effetto che nessuna –
faccio il finto semplice –
penso ai denari –
mi vergogno di mio cugino tabaccaio –
mi sono molto masturbato un tempo.

(dalla lettera a Bianca Garufi, Torino 25 novembre 1945)

.-.-.-.-.

(…)ma può darsi che tu pensi a tutt’altro e abbia ritrovato un vecchio amore o uno nuovo e la letteratura già ti disgusti. In questo caso sai quel che hai da fare – come la notte che mi hai detto che ne avevi le scatole piene – brucia anche questo e vivi lieta. Io ho trovato due foto stupende della Venere di Cirene, e sono molto tentato di darmi all’amor solitario. Pace. Pavese

(dalla lettera a Bianca Garufi, Roma giovedì 21 febbraio 1946)

da Una bellissima coppia discorde. Il carteggio tra Cesare Pavese e Bianca Garufi (1945-1950), a cura di Mariarosa Masoero, Leo S.Olschki Firenze, 2011

funzione del padre

Si vedeva da piccola sul pavimento che era il suo posto, quello che stava lì apposta per lei, e per il gatto, dove camminava senza stare in piedi, dove tornava sempre a cadere.
E lui la alzava, la alzava in alto e lei si trovava di fianco alla sua testa che quasi sfiorava, e a forza d’essere alzata e abbassata all’altezza della sua fronte e di sfiorarla, dovette capire chi era: il Padre. E in quei viaggi dal tanto in alto fino al suolo, vedere da sopra il suolo, guardare dall’alto, sulla testa di suo padre, le cose, le pareti che si muovevano, che andavano cambiando e che aspettavano il cambiamento: vedere il cambiamento e vedere dietro mentre ci muoviamo è il principio della verità, del guardare che è vita.

da Sentimenti per un’autobiografia. Nascita, amore, pietà, Maria Zambrano, Mimesis, a cura di Samantha Maruzzella

georges perec e la macchina del tempo

La data: 20 ottobre 1974 (domenica)
L’ora: 11.30
Il luogo: Café de la Mairie
Il tempo: Piove, strade bagnate. Schiarite passeggere. Per un bel po’ di tempo, nessun autobus, nessuna automobile.
Uscita dalla messa
La pioggia riprende a cadere
Giornata Nazionale delle Persone Anziane: molte persone portano sul bavero dei loro cappotti o dei loro impermeabili piccoli distintivi di carta: è la prova che hanno già fatto un’offerta
Passa un 63
Passa una signora che porta una scatola di dolci
(immagine classica all’uscita delle messe della domenica qui effettivamente verificata)
Qualche bambino
Qualche carrello per la spesa
Una due-cavalli con il parabrezza ornato con un caduceo condotta da un vecchio signore si sistema a lato del marciapiede; il vecchio signore viene a cercare nel caffè una vecchia signora che beveva un caffè leggendo “Le Monde”
Passa una signora elegante che tiene, con gli steli in alto, un grande mazzo di fiori.
Passa un 63
Passa una ragazzina che porta due grandi sacchetti della spesa
Un uccello viene a posarsi in cima a un lampione
è mezzogiorno
Temporale
Passa un 63
Passa un 96
Passa una due-cavalli verde mela
La pioggia diventa violenta. Una signora si fa un cappello con un sacchetto di plastica con la scritta “Nicolas”
Degli ombrelli si infilano in chiesa.

da Tentativo di esaurimento di un luogo parigino TELP.1, Georges Perec, Voland, a cura di Alberto Lecaldano,

Poiché nel post http://milaaudaci.oltreilibri.it/?p=145 ho giocato con una macchina del tempo, generata dalla minuziosa indicizzazione delle immagini (foto/video), àncoro il mio braccio a quello di Georges Perec che nell’elencazione oggettiva (o iper-indicizzazione) di una giornata fa del suo TELP.1 anche una macchina del tempo: per la signora con il sacchetto in testa, per coloro che nel ’74 subivano a ogni incrocio la vista di una due-cavalli verde mela, per tutti quelli che hanno preso un 63…

Alberto Lecaldano nella postfazione scrive:

(…)Il 18 ottobre 1974 nella piazza oltre a Getzler (intorno a mezzogiorno) si aggira Luigi Grazioli a quei tempi studente all’ècole Normale Supérieure e occasionalmente fotografo. In una foto inedita di Perec (pubblicato su “Riga”n.4, giugno 1993, dedicato a Georges Perec), racconta che dopo tanti anni riprende in mano e guarda le foto scattate quel giorno alle due e mezza (proprio mentre la campana della chiesa suonava a morto) e lì seduto a un tavolino tra gli altri avventori scopre che ce n’è “uno che scrive: un uomo con la capigliatura e la barbetta molto folte…Sembrerebbe proprio Perec”.

TELP.1 più che un’indagine etnologica è la vittoria sul tempo, sulla morte!
Quanto mi piace, questo nipote di Proust!

sotto il doppio mento di Carlo Emilio Gadda