per favore, un po’ di fedeltà!

Lo scrivere richiede fedeltà prima di ogni altra cosa: essere fedeli a ciò che chiede di essere tratto fuori dal silenzio. Una cattiva trascrizione, un’interferenza delle passioni (…) distruggeranno la fedeltà dovuta (…). Così l’essenza dell’uomo scrittore si forma in questa fedeltà con cui egli trascrive il segreto che rende pubblico(…) senza permettere alla vanità di proiettare la sua ombra e sfigurarla. Se infatti lo scrittore rivela il segreto non è per un atto di volontà, né per l’ambizione di mostrarsi qual è(…). In realtà esistono segreti che esigono di per se stessi di essere rivelati, resi pubblici.

da Perché si scrive, in Verso un sapere dell’anima, María Zambrano, Raffaello Cortina Editore, trad.di Eliana Nobili

 

rivelazione

Il poeta quindi esiste realmente proprio in quanto ha una sua direzione, segue una sua traiettoria come l’unica via possibile, disperato perché costretto ad appropriarsi del mondo intero, colpevole per l’arroganza di volerlo definire. E il suo compito gli si rivela nel momento in cui capisce di non avere altra scelta, di non potere sfuggire a se stesso. Quanto più comincia a essere consapevole dei compiti che gli stanno di fronte, quanto più li individua con chiarezza, tanto più le sue opere sono accompagnate da un impegno teorico nascosto o palese.

da Letteratura come utopia. Lezioni di Francoforte, Ingeborg Bachmann, Adelphi, trad.di Renata Colorni

palinodìa

Trieste 1936, foto di Milo Müller

In primo luogo, scoprii questo. Ciò che la Fotografia riproduce all’infinito ha avuto luogo solo una volta: essa ripete meccanicamente ciò che non potrà mai ripetersi esistenzialmente.

(…)

Procedendo così di foto in foto (finora, a dire il vero, tutte pubbliche) avevo forse appreso come procedeva il mio desiderio, ma non avevo scoperto la natura (l’eidos) della Fotografia. Dovevo convenire che il mio piacere era un mediatore imperfetto, e che una soggettività ridotta al suo solo progetto edonista non poteva riconoscere l’universale. Dovevo penetrare maggiormente dentro di me per trovare l’evidenza della Fotografia, quella cosa che è vista da chiunque guardi una foto, e che la distingue ai suoi occhi da ogni altra immagine. Io dovevo fare la mia palinodia.

da La camera chiara. Nota sulla fotografia, Roland Barthes, Einaudi, trad. di Renzo Guidieri

parole notturne

foto di Luca Donnini

Rispetto per il lettore significa che il poeta o il romanziere invita la coscienza del lettore a collaborare con la propria nell’atto della rappresentazione. Non dice tutto perché la sua opera non è un sillabario per i bambini o i ritardati mentali. Non esaurisce tutte le possibili reazioni delle fantasticherie del proprio lettore, ma si compiace del fatto che saremo noi a riempire con la nostra vita, con le risorse della memoria e del desiderio che ci sono proprie, le linee che egli ha tracciato. Tolstoj è infinitamente più libero, infinitamente più eccitante dei nuovi scrittori erotici allorché tronca il proprio racconto sulla soglia della camera da letto di Karenina, quando si limita appena a iniziare, tramite la similitudine di una fiamma morente, della cenere che si raffredda sulla griglia, la percezione di una sconfitta sessuale che ciascuno di noi può rivivere o particolarizzare per se stesso. George Eliot è libera e tratta i propri lettori da esseri umani liberi e adulti, allorché comunica, tramite l’inflessione dello stile e dell’umore, la verità sulla luna di miele di Casaubon in Middlemarch, allorché lascia che immaginiamo da soli come Dorothea sia stata violata da una certa fondamentale ottusità. Queste sono scene profondamente eccitanti, queste sì che arricchiscono e complicano la nostra coscienza sessuale, ben più degli idilli da quattro soldi del romanzo “libero” contemporaneo. Non vi è nessuna libertà nelle coercitive esattezze fisiologiche dell’ “alta pornografia” attuale, perché non vi è alcun rispetto per il lettore, le cui risorse immaginative sono ridotte a zero.

da Linguaggio e silenzio, George Steiner, Rizzoli, trad.di Ruggero Bianchi

complessità

Questo silenzio che da me dipende,
echeggia pure d’infiniti dèi;
ci sono mille mondi sovrapposti
presso quell’albero fra gli alti cardi,
e questa foglia che mi vola innanzi
può sconfiggere un uomo, cancellare
un verso millenario, essere un sogno;
i mille dèi stanno a guardare l’albero
e ognuno vede un mondo, e non si vedono.

da Luoghi comuni, J. Rodolfo Wilcock, Il Saggiatore, Biblioteca delle Silerchie

III scherzo dedicato ad Anna

Composizione con alberi, Luigi Bartolini

Due braccia, due gambe, le sue uguali a quelle di altre donne
e deficienze, alle altre donne, egualissime.
Eguale il pessimo mestruo, eguale la cispa
oh cara Anna, quando al mattino ti levi dal letto.
Tutto eguale: un volanino che si è logorato
una calza che si è filata, di sera, in uno spino…
Va bene, codesto è noto,  stranoto, notissimo.
Si sa chi sono le donne; che vogliono tutto per sé,
e, il peggio, basta leggerlo in Weininger.
Sì sta tutto bene, ma più ci penso e più me ne infischio
che le tue braccia siano eguali a quelle di altre donne.
Però, ahimè, che non me ne infischio se non mi abbracci.

da Pianete, Luigi Bartolini,  Vallecchi Editore

 

p.s.: Lorenzo dice: per sapere altro a proposito della misoginia di Weininger, leggere ne La coscienza di Zeno, di Italo Svevo

horror vacui

Edward Hopper

Un viso come una maschera – non rigido come una maschera, ma mobile come una maschera -, una voce alterata, che sforzandosi timidamente di non attirare l’attenzione, imitava non solo l’altro dialetto, ma anche i modi di dire estranei – “Alla salute!”, “Giù le zampe di lì”, “Oggi mangi di nuovo come un lupo”-, un atteggiamento del corpo studiato, con l’anca piegata, un piede davanti all’altro…tutto questo, non per diventare un’altra persona, ma per diventare un TIPO: per trasformarsi da comparsa d’anteguerra in comparsa del dopoguerra, da fresca contadina in cittadina; per lei bastava la descrizione: ALTA, SNELLA, BRUNA.

Descritta così, come un tipo, una si sentiva liberata persino della propria storia, perché ormai viveva se stessa soltanto come sotto il primo sguardo di un estraneo che ti valuta sessualmente.

Così una vita interiore che non ebbe mai la possibilità di diventare pacificamente borghese, fu consolidata almeno in superficie, imitando goffamente nei rapporti sociali il sistema di valutazione borghese tipico delle donne soprattutto, per cui l’altro è il mio tipo ma io non sono il suo, oppure io il suo ma lui non il mio, oppure siamo fatti l’uno per l’altra, oppure uno non può soffrire l’altro, – per cui insomma tutte le forme di rapporto vengono ormai concepite come regole talmente obbligate, che ogni atteggiamento un po’ più personale, un po’ compartecipe, non è che un’eccezione. “In fondo non era il mio tipo,” diceva, per esempio, mia madre, di mio padre. Si viveva dunque in base a questa dottrina dei tipi, in essa ci si trovava piacevolmente oggettivati e non si soffriva più di se stessi, né della propria origine, né della propria individualità, afflitta forse dalla forfora o dai piedi sudati, né delle condizioni di sopravvivenza che ogni giorno tornavano a riproporsi, come tipo, anche un disgraziato usciva da una solitudine e da un isolamento vergognosi, perdeva se stesso eppure diventava qualcuno, anche se solo di passaggio.

Allora si andava per le strade senza un peso, sospinti da tutto ciò che si poteva sfiorare spensieratamente, respinti da tutto ciò che chiedeva una sosta e ripristinava una fastidiosa coscienza di sé: le lunghe code, un ponte alto sullo Sprea, una vetrina di carrozzine (aveva abortito un’altra volta di nascosto). senza pace per restare in pace, irrequieti per fuggire a se stessi. Parola d’ordine: “oggi non voglio pensare a niente, oggi voglio essere felice”.

(…)

Naturalmente sono un po’ imprecise queste cose scritte su qualcuno ben preciso: ma solo le generalizzazioni che espressamente prescindano da mia madre come possibile protagonista straordinaria di una storia forse irripetibile possono riguardare qualcun altro oltre a me; riferire semplicemente agli alti e bassi d’una vita troncata all’improvviso non sarebbe che pretenzioso.

Il pericolo di queste astrazioni e formulazioni è che tendono a rendersi autonome. Dimenticano la persona da cui sono partite: una reazione a catena di locuzioni e di frasi come le immagini di un sogno, un rituale letterario per cui la vita di un individuo non è che un’occasione.

Questi due pericoli – il semplice referto e lo scomparire indolore di una persona in una serie di frasi poetiche – rallentano la scrittura, perché a ogni frase ho paura di perdere l’equilibrio. Ciò vale per qualunque attività letteraria, ma particolarmente in questo caso, dove i fatti sono così perentori che non c’è quasi più niente da inventare.

da Infelicità senza desideri, Peter Handke, Garzanti

de senectute

Rodin le Penseur, Edward Steichen

Perché la vecchiaia è malattia quando in giovinezza nulla s’è innestato, e si rimane sterili, soli e infelici. Ora son qua, vecchio e carico di tutti i miei ricordi, pieni, succosi e profumati, che fan piegare il ramo, e ad ogni brezza cadono, rotolano sul ripido pendio dei pochi anni che mi restano, mentre la mano cerca di fermarli, e mi riesce solo d’indicarli, d’esprimerli confusi e malamente.

da Retablo, Vincenzo Consolo, Sellerio

foto di Edward Steichen

a Lorenzo

 

sotto il doppio mento di Carlo Emilio Gadda