Category Archives: totipotenza

Dublinato

5.50…9.35 – 11.35

It was not Death, for I stood up,
And all the Dead, lie down –
It was not Night, for all the Bells
Put out their Tongues, for Noon.

It was not Frost, for on my Flesh
I felt Siroccos – crawl –
Nor Fire – for just my Marble feet
Could keep a Chancel, cool –

And yet, it tasted, like them all,
The Figures I have seen
Set orderly, for Burial,
Reminded me, of mine –

As if my life were shaven,
And fitted to a frame,
And could not breathe without a key,
And ’twas like Midnight, some –

When everything that ticked – has stopped-
And Space stures all around –
Or Grisly frosts –  first Autumn morns,
Repeal the Beating Ground.

But, most, like Chaos – Stopless – cool –
Without a Chance, or Spar –
Or even a Report of Land –
To justify – Despair.

Emily Dickinson (1862)

***

trad. di Barbara Lanati

Non era la morte, perché stavo in piedi,
mentre i morti, tutti, stanno distesi –
Non era la notte, perché le campane
a distesa suonavano il mezzogiorno.

Non era il gelo, ché sulla carne
sentivo lo scirocco – strisciare –
Non era il fuoco – ché i miei piedi di marmo
un altare avrebbero ghiacciato-

Eppure il sapore era quello,
e le forme composte,
che ho visto pronte alla sepoltura,
mi ricordavano  –  la mia –

Era come se la mia vita fosse stata
piallata e forzata in una struttura,
come se la chiave mancasse e con essa il respiro,
come a mezzanotte, a volte –

quando il ticchettio del mondo s’arresta –
e lo spazio fissa le cose d’intorno
e i morsi del gelo, i primi mattini d’autunno
attanagliano il respiro del suolo.

Ma più d tutto era il caos, freddo, perenne
senza un appiglio, un albero di nave,
neppure, un segnale di terra,
a giustifica della – Disperazione.

Le storie, i sentimenti, i personaggi, la descrizione: riuscire a renderli totale provvisorietà; levare a ogni frase la terra sotto i piedi, levarle il fondamento, col gesto stesso con cui ci sforziamo di affidarla alla stabilità. Ogni racconto ci appare oggi simultaneamente del tutto  fondato e al tempo stesso del tutto infondato. Questo secolo ci ha educato alla memoria di entrambe tali condizioni. Questo continuo e duplice carattere di fondatezza e infondatezza della narrazione è una dimensione di probabilità. È ciò che risuona oggi nel limite estremo della scrittura: un movimento sotterraneo ed essenziale di probabilità e improbabilità continue. Ha a che fare, forse, proprio con l’ombra, con la quantità di ombra che il linguaggio porta con sé, che ogni parola porta con sé nel suo medesimo far luce, dunque dell’ombra che ciascuno di noi riesce a trattenere, a conservare e a far «parlare» all’interno della continua e probabile, puramente probabile luce delle parole.

da In questa luce, Daniele Del Giudice, Einaudi

ancora sul barzottismo

Nella Bibbia, Dio crea il mondo dal nulla. Sin dal big bang, contiguità inquietante tra il puro essere e il nulla. Nel “passaggio dal nulla all’essere” nota Hegel “vi è un punto in cui l’essere e il nulla coincidono e la differenza loro sparisce” (Hegel, Scienza della Logica, Laterza). È in questa coincidenza di essere e nulla, “puro vuoto” carico di tensione, che vive per un tempo non numerabile l’estatico (e in cui sprofonda l’angosciato).

da La mente estatica, Elvio Fachinelli, Adelphi

Soglia, esitazione, totipotenza, poesia

walking di luca donnini

Il nostro carattere è l’effetto di una scelta che si rinnova incessantemente. Lungo l’intero nostro cammino ci sono punti di biforcazione (per lo meno apparenti), e noi percepiamo molte possibili direzioni, sebbene se ne possa seguire una sola. Ritornare sui propri passi, seguire sino in fondo le direzioni intraviste, ecco in cosa sembrerebbe consistere l’immaginazione poetica.

da Il riso. Saggio sul significato del comico, Henri Bergson, SE Studio Editoriale, a cura di Federica Sossi

foto della meravigliosa Ula Rosi nel film Walking di Luca Donnini

a Pilla

Paolina Leopardi – Recanati (1)

(Roma) 28 gennaio (1823)

Cara Paolina. La tua lettera m’è stata molto gradita, come sempre mi saranno quelle che mi scriverai, ma mi dispiace pur molto di sentirti così travagliata dalla tua immaginazione (2). Non dico già della tua immaginazione, volendo inferire che tu abbi torto, ma voglio intendere che di là vengono tutti i nostri mali, perché infatti, non v’è al mondo né vero bene, né vero male, umanamente parlando, se non il dolore del corpo. Vorrei poterti consolare, e proccurare la tua felicità a spese della mia, ma non potendo questo, ti assicuro almeno che tu hai in me un fratello che ti ama di cuore, che ti amerà sempre, che sente l’incomodità e l’affanno della tua situazione, che ti compatisce, che in somma viene a parte di tutte le cose tue. Dopo tutto questo non ti ripeterò che la felicità umana è un sogno, che il mondo non è bello, anzi non è sopportabile, se non veduto come tu lo vedi, cioè da lontano; che il piacere è un nome, non una cosa; che la virtù, la sensibilità, la grandezza d’animo sono, non solamente le uniche consolazioni de’ nostri mali, ma anche i soli beni possibili in questa vita; e che questi beni, vivendo nel mondo e nella società, non si godono né si mettono a profitto, come sogliono credere i giovani, ma si perdono intieramente, restando l’animo in un vuoto spaventevole. Queste cose già le sai, e non solo le sai, ma le credi, e nondimeno hai bisogno e desideri di vederle coll’esperienza tua propria; e questo desiderio ti rende infelice. Così accadeva a me, così accade e accaderà eternamente a tutti i giovani, così accade agli uomini ancora e agli stessi vecchi, e così porta la natura. Vedi dunque quanto io sono lontano dal darti il torto. Ma voglio che per amor mio tu facci qualche sforzo, ti approfitti un poco della filosofia, proccuri di rallegrarti alla meglio, come io so per lunga esperienza che si può fare anche nel tuo stato, niente meno che in qualunqu’altro. E finalmente non voglio che ti disperi; perché dentro un giorno può svanire la causa delle tue malinconie, e questo è probabilissimo che avvenga; anzi è facilissimo; anzi, andando le cose le cose naturalmente, è certissimo. Quello ch’io potrò per te, devi credere che lo farò. Intanto divèrtiti. Credi tu ch’io mi diverta più di te? No sicurissimamente. Eppure in questi ultimi giorni ho fatto, e seguo a fare, una vita molto divagata. Ma tieni per certa questa massima riconosciuta da tutti i filosofi, la quale ti potrà consolare in molte occorrenze; ed è che la felicità e l’infelicità di ciascun uomo (esclusi i dolori del corpo) è assolutamente uguale a quella di ciascun altro, in qualunque condizione o situazione si trovi questo o quello. E perciò, esattamente parlando, tanto gode e tanto pena il povero, il vecchio, il debole, il brutto, l’ignorante, quanto il ricco, il giovane, il forte, il bello, il dotto; perché ciascuno nel suo stato si fabbrica i suoi beni e i suoi mali; e la somma dei beni e dei mali che ciascun uomo si può fabbricare, è uguale a quella che si fabbrica qualcunqu’altro.
Forse, volendoti consolare, t’avrò annoiata con tanta filosofia.
In ogni modo stammi più allegra che puoi, ed aspettami, ch’io ti consoli a voce; se pur già a quell’ora non sarai consolata dalla fortuna. Saluti ai genitori, ai fratelli, a Carlo in particolare. Io sto bene, e ti amo. Addio.

 

 

(1) Alla sorella Paolina, in risposta ad una sua del 13 gennaio

(2) mi dispiace…immaginazione: nella lettera sopracitata la sorella appariva molto afflitta, forse anche per l’ormai previsto fallimento del progettato matrimonio.

 

Lettera 68 da Giacomo Leopardi – Lettere. Tomo primo. Scelta e commento a cura di Sergio e Raffaella Solmi, Einaudi – Classici Ricciardi, 1977

vita d’azione


Old man, Louis Stettner, 1958

Le cosiddette “leggi di natura” non sono davvero leggi di amore. La più feroce e sanguinosa lotta per l’esistenza vige come costante immutabile dalle prime manifestazioni fino all’uomo che nella sua quasi totalità obbedisce al medesimo istinto.
Ma le eccezioni che ogni tanto appaiono nella storia umana illuminano di una luce certissima la possibilità di evasione e la realtà di una dimensione superiore nella cui direzione l’Eros creatore assuma qualità e caratteri fino a questo punto sconosciuti.

Ma il modo con cui tale dimensione viene attinta non è quella di un meccanismo dialettico per cui ogni individuo si trovi, ad un determinato momento, “dall’altra parte del fiume della vita” solo perché portato da un universale e fatale processo di evoluzione. Tale passaggio è atto squisitamente elettivo. Riconoscimento ed elezione di valore, o riconoscimento dell’Io.

Ciò significa che l’individuo si costruisce unicamente nell’atto della libertà creativa. La sua sostanza profonda è data dall’unica realtà delle sue realizzazioni di valore.

da L’anatra mandarina e altri scritti, Claudio Claudi, Franco Angeli

foto presa dall’archivio di Maurice Sans Terre

 

finis fabulae

foto di Jindrich Styrsky

Come una scia si richiude la favola
sugli sbuffi dell’elica lussureggiante di schiuma.
Guardala a poppavia che s’appiattisce
levigata da diavoli mulinelli.

L’essere è più del dire – siamo d’accordo.
Ma non dire è talvolta anche non essere.
Ah discreta più del dovere fu l’incoscienza.
Presto tutte le acque saranno uguali e lisce.

da La vita in versi, Giovanni Giudici, Mondadori