Category Archives: Thirteen ways of looking at a Blackbeard

e che non resti dunque altro…

Frans Hals

E che non resti dunque altro, nelle parole, se non i rapidi passaggi dall’ombra alla luce. Come nei ritratti di Frans Hals, che aveva capito che il volto è un paesaggio, l’anima una nube che satura un istante il cielo, il sorriso la fine di un temporale. La terra è un angelo, è questa la scoperta del disegnatore, l’evidenza che zampilla, talvolta, dai colpi di piccone nell’apparenza pietrosa.

da Osservazioni sul disegno – Il disegno e la voce, Yves Bonnefoy, Pagine d’Arte

appunti per trentasei e dieci vedute n.36

veduta numero 36

I particolari riguardanti il dispositivo di verticalizzazione, malgrado il loro carattere lapidario, sono molto importanti poiché Plinio era certamente al corrente, come molti brani della sua opera stanno a dimostrare, di tutta una metafisica primitiva concernente l’ombra (soprattutto l’ombra distesa, a contatto diretto con la terra) e dei suoi legami con la morte. Bisogna andare in fondo nel testo per capire che la figlia di Butades alla vigilia di una partenza “fissa” per così dire, durante la notte, l’immagine del proprio caro in una verticalità che si vorrebbe perpetua, esorcizzando in tal modo il pericolo di morte e conservando presso di sé un’immagine compensatoria dell’assente reso “vivo” (“eretto”) in eterno.

da Breve storia dell’ombra. Dalle origini della pittura alla Pop Art, Victor I. Stoichita, Il Saggiatore

appunti per Trentasei e dieci vedute n.29

veduta numero 29

Cerchiamo ora di immaginare un possibile poeta.

(…)

Dovrà astrarsi e al tempo stesso astrarre la realtà, attirandola nella propria immaginazione.

(…)

Bergson definisce la percezione visiva di un oggetto immobile come il più stabile degli stati interni: “Poniamo che l’oggetto rimanga sempre identico,” dice, “e che io lo osservi sempre dallo stesso lato, sotto la stessa angolatura e alla stessa luce; nondimeno, la visione che ne ho in questo momento è diversa da quella che ne ho appena avuto, se non altro perché la seconda è di un istante successivo alla prima. C’è la mia memoria, che porta nel presente qualcosa del passato”.

(…)

Il poeta dà alla parola “realtà” un suo significato, e la stessa cosa fanno il pittore e il musicista; ed essa, oltre a ciò che significa in generale per i sensi e l’intelletto, ha ancora, diciamo, un significato particolare per ciascuno. Ma nonostante ciò la parola “realtà”, così come io l’ho usata in senso generico, possiede un’immediata capacità di adattamento. Il soggetto della poesia non è “l’insieme di oggetti solidi e statici che si estendono nello spazio”, ma la vita che è vissuta nel luogo che essa crea; la realtà, dunque, non è quel luogo esterno ma la vita che si vive.

(…)

Quando parlo di pressione della realtà, penso a una vita violenta.

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Il poeta che ho immaginato deve essere in grado di resistere e di sottrarsi alla pressione che la realtà esercita.

(…)

Sì, la materia che domina la poesia – la sua fonte inesauribile- è la vita, non l’obbligo sociale. Non si ama la nostra madre antica, né si ritorna a lei per un obbligo sociale ma per una suggestione che non può essere soppressa.

(…)

Quale sarà la funzione del poeta? Non sarà certo quella di condurre la gente fuori dallo stato confusionale in cui si trova, e neppure quella di darle conforto mentre viene sballottata da una parte all’altra, dietro ai suoi capi. La sua funzione è piuttosto quella di dare agli altri la sua immaginazione perché la facciano propria, e potrà dire di avere raggiunto il suo scopo solo quando essa illuminerà la loro mente. Il suo ruolo, in breve, è di aiutare gli altri a vivere la loro vita.

(…)

Il poeta dà alla vita quelle supreme finzioni senza le quali non riusciremmo a pensarla.

da L’angelo necessario, Wallace Stevens, Coliseum

elio che mi ritrae mentre lo ritraggo

appunti per Trentasei e dieci vedute n.25

the woman and the god fritz henle 1938

(…)

non più una questione di Mimesis, ma di divenire: Achab non imita la balena, diventa Moby Dick, transita nella zona di prossimità in cui non può più distinguersi da Moby Dick, e colpendola, colpisce se stesso.

(…)

Qual è il gesto di Achab, quando scaglia le sue espressioni di fuoco e di follia? Egli rompe un patto; trasgredisce la legge dei balenieri che vuole che si dia la caccia ad ogni balena sana che si incontri, senza scegliere. Lui, invece, sceglie, perseguendo la sua identificazione con Moby Dick, gettato nel suo divenire indiscernibile, mettendo il suo equipaggio in pericolo di morte. Ed è questa mostruosa preferenza che il luogotenente Starbuck gli rimprovera amaramente, considerando addirittura la possibilità di uccidere il capitano traditore. Scegliere è il peccato prometeico per eccellenza. Era il caso della Pentesilea di Kleist, Achab-donna che aveva scelto il suo nemico, come suo doppio indiscernibile, in Achille, sfidando la legge delle Amazzoni che proibiva di preferire un nemico. La sacerdotessa e le Amazzoni vedono in ciò un tradimento che la follia sanziona attraverso una identificazione cannibalica.

Gilles Deleuze in Bartleby o la formula della creazione, Gilles Deleuze e Giorgio Agamben, Quodlibet, trad.di Stefano Verdicchio

appunti per Trentasei e dieci vedute n.8

M2

Rembrandt presta il suo volto all’espressione di ogni sentimento, ogni atteggiamento, ogni ruolo. Come aveva già notato Hoogstraten, l’artista tende a rappresentare se stesso nei panni di un altro, come se fosse un attore: è di volta in volta principe e mendicante, vittima e carnefice, incarnazione della gioia e della disperazione. L’onnipresenza dei suoi lineamenti manifesta la dissoluzione dell’io nell’umanità universale più che una fissazione sul proprio io: chiunque, non è più nessuno.

da L’arte o la vita! Il caso Rembrandt, Tzvetan Todorov, Donzelli Editore, trad. di Cinzia Poli