Category Archives: stella polare

High mountains are a feeling

Mi riparo dal freddo in una casa ripensando ai versi di Byron: “High mountains are a feeling”(1). La percezione è cambiata in pochi secoli: le rocce aguzze erano un ostacolo, un pericolo, e Petrarca prima d’inerpicarsi sul Monte Ventoso era stato scoraggiato da un pastore, che ci era salito trovandovi solo “delusione e fatica, il corpo e le vesti lacerati dai sassi e dai pruni” (2). Per Rousseau, in uno dei romanzi più famosi del Settecento, era già cambiato tutto: in alta montagna “lo spirito è più sereno (…). Le meditazioni assumono lassù non so che carattere grande e sublime”. Quel che ci attira, in questi ammassi di roccia e ghiaccio inospitali, è una visione dell’immaginazione, una ricerca dell’ebbrezza e a volte del rischio, invenzione europea che da due secoli e mezzo contagia tutto il mondo.

pp.122 e 123, Il dio che danza. Viaggi, trance, trasformazioni, Paolo Pecere, Nottetempo, 2021

(1): George Byron, Chide Harold’s Pilgrimage, Canto the Third, 72, Harper Collins, Harper Collins Perennial Classics, Toronto 2014.

(2): Francesco Petrarca, Epistole, IV.1.

(3): Jean-Jacques Rousseau, Giulia o la nuova Eloisa. Lettere di due amanti di una cittadina ai piedi delle Alpi (1971), trad. di P. Bianconi, Rizzoli, Milano 1964, p.89

Vie Cave

Il percorso semisotterraneo delle vie cave può corrispondere a un itinerario sacro, nel quale si sarebbero svolte cerimonie e processioni rituali, sul tipo di quelle officiate nei Misteri dionisiaci e della Grande Dea.

La processione doveva servire a drammatizzare e a celebrare il mistero della rinascita cosmica e annuale della vita, in coincidenza con le date equinoziali, all’inizio della primavera e alla fine dell’estate. I misteri eleusini si svolgevano in due fasi: i “piccoli” Misteri di febbraio-marzo e i “grandi” Misteri di metà settembre.

La tradizionale “torciata” di Pitigliano, festa pagana di remotissime origini, ha luogo ancora oggi il 19 marzo, giorno prossimo all’equinozio di primavera. La processione fiammeggiante dei pitiglianesi, che portano a spalla grandi torce fatte di canne di fiume, parte dalla necropoli etrusca di poggio S.Giuseppe, attraversa la cava omonima e raggiunge il paese dopo aver passato una seconda via cava (di Poggio Cane). Si ritiene comunemente che questa sia una celebrazione antica, per propiziare la primavera, anche in connessione con riti agrari e della fertilità. Considerato l’ambiente prettamente funerario delle vie cave, indicato dalla contigua presenza di tombe e necropoli, è anche plausibile che questi grandi percorsi fossero originariamente ideati in seguito ad un sincretismo tra culti misterici e culti degli antenati e dell’Oltretomba.

Oltre a placare e ad onorare le anime degli antenati, questo tipo di ritualità mirava a celebrare il culto delle divinità infere: Aita (Ade-Dioniso), Phersipnai (Persefone), Sethlans o Velcha (Efesto o Vulcano), e certamente anche quel misterioso Veltha il cui nome è inciso a grandi lettere nel Cavone di Sovana.

D’altra parte, vista l’attestata funzione di spazio rituale pertinente al “dromos” (il corridoio funebre), è lecito ritenere che anche le vie cave, che altro non sono che enormi “dromoi”, avessero la stessa funzione.

Percorrerle equivaleva a entrare in risonanza con le forze della terra e al tempo stesso effettuare un rito di passaggio: l’attraversamento del dedalo che è la vita stessa, per raggiungere l’atemporale e sacra sfera delle anime rigenerate e immortali.

da Le Vie Cave Etrusche. I ciclopici percorsi sacri di Sovana, Sorano e Pitigliano, Giovanni Feo, Laurum Editrice, 2011

La vecchia signora che portava a passeggio il suo cane

Una vecchia signora portava a passeggio il suo cane, un soldato sovietico la chiamò, voleva trovare un poco di “umanità” almeno in un cane. La vecchia signora richiamò il cane con un fischio, nemmeno lui doveva collaborare o fraternizzare. Non era crudeltà, era realismo coerente; non era meditato, era naturale. Solo gl’innocenti posso essere così duri gli uni con gli altri. I colpevoli trovano sempre una via traversa per dimostrarsi a vicenda la loro corruzione sotto forma di apparente umanità, che poi non è altro che sentimentalismo. La cattura di un generale, di norma, si configura come un’azione tra gentiluomini. Ma gl’innocenti direttamente colpiti non si possono permettere di questi lussi e si comportano con rozzezza perché pagano di persona.

da Il carro armato puntava su Kafka, in Rose e dinamite. Scritti di politica e di letteratura 1952-1976, Heinrich Boll, Einaudi, 1976, A cura di Italo Alighiero Chiusano

don Lorenzo Milani a Aldo Capitini

“Si sarebbe potuto correre generosamente da un capo all’altro d’Italia e d’Europa e forse anche in India a incontrare tutti coloro che son pensosi dei problemi dei poveri e degli oppressi e leggerci gli uni agli altri i nostri libri e scriver riviste profonde chiedendoci uni agli altri di collaborare e poi riuscire a promuovere provvedimenti legislativi che assicureranno domani la scuola ai poveri e durante tutto questo nostro correre per loro i poveri avrebbero intanto seguitato a zappare per noi”.

don Lorenzo Milani, A Aldo Capitini, 10 luglio 1960, in OO, vol.II., pp.1279-1280

Potersi informare e quindi schierarsi

“Sono abbonato al Giornale del Mattino. Sono abbonato anche a un giornale cattolico francese. Se non avessi avuto il secondo non mi sarei mai accorto sul primo di quel che fa la polizia francese. Non che la notizia non ci fosse, ma era riporta di rado e non vista e in forma dubitativa e senza particolari. Quanto basta per non accorgersene. Oppure accorgersene ma non dargli il suo posto. Accorgersene e non schierarsi.”

Frammento della lettera del 1959  di don Lorenzo Milani a Nicola Pistelli, l’assessore di Firenze vicino a Giorgio La Pira, direttore della rivista “Politica”. La lettera è riportata a p.149 de La lettera sovversiva. Da don Milani a De Mauro, il potere delle parole, Vanessa Roghi, Laterza Editori (2023)

Subordinando la varietà a un unico nome, a un’unica dicitura generica, si sabota l’esistenza stessa di ogni singola persona

Walter Benjamin scrive in un racconto: “Sull’isola esistono, a quanto si dice, diciassette tipi di fichi. Bisognerebbe conoscerne il nome, osserva tra sé e sé l’uomo che cammina sotto il sole”(1). Ogni specie di fico è quindi unica, non interscambiabile. Tale singolarità impedisce di dare un solo nome a queste diciassette specie di fico. Il termine generico elimina l’individualità, la specificità dei nomi propri. Per via di tale singolarità ogni specie di fico ha un proprio nome, un nome proprio: merita di essere chiamata, invocata con questo nome. Come se il nome fosse un codice istantaneo capace di garantire l’accesso all’essenza, all’essere, come se solo tramite il nome proprio l’atto di chiamare e invocare raggiungesse la propria essenza. Subordinando la varietà a un unico nome, a un’unica dicitura generica, si saboterebbe l’esistenza stessa di ogni singola specie di fico. Si può invocare solo il singolare. Chiamare, invocare il nome proprio è la chiave per esperire in prima persona quella particolare specie di fico. Per l’esattezza, non è una questione di conoscenza, di evocazione. L’oggetto di un’esperienza autentica, cioè dell’invocazione, non è il generico bensì il singolare. Solo questo consente di imparare confrontandosi.

citato in Elogio della terra (Nottetempo, nella trad. di Simone Aglan-Buttazzi), da Todesarten. Philosophische Untersuchungen zum Tod, Byung-Chul Han, Wilhelm Fink Verlag, 1998

1) Walter Benjamin, “Sotto il sole”, in Opere Complete – Vol.5 – Scritti 1932-1933, a cura di E. Ganni, trad. it. di G. Schiavoni, Einaudi, 2003

E quindi, subordinando la varietà a un unico nome, a un’unica dicitura generica, si sabota l’esistenza stessa di ogni singola persona, perché la si priva di realtà.

Fede

La tieni tra le braccia.
Dormi, e la sogni,
e sai che è un sogno
ciò che di lei vedi.
E il cuore si squarcia,
trema di fede.
Soltanto una cosa
a lei proposta
ti dà garanzie
che ti vorrà sveglio.
Sa che è un sogno
ciò che di lei le dici,
ma che, sotto
il sogno, è lei
che tieni tra le braccia.

da Teoria dei corpi, Gabriel Ferrater, Occam Editore, traduzione di Amaranta Sbardella