Mi riparo dal freddo in una casa ripensando ai versi di Byron: “High mountains are a feeling”(1). La percezione è cambiata in pochi secoli: le rocce aguzze erano un ostacolo, un pericolo, e Petrarca prima d’inerpicarsi sul Monte Ventoso era stato scoraggiato da un pastore, che ci era salito trovandovi solo “delusione e fatica, il corpo e le vesti lacerati dai sassi e dai pruni” (2). Per Rousseau, in uno dei romanzi più famosi del Settecento, era già cambiato tutto: in alta montagna “lo spirito è più sereno (…). Le meditazioni assumono lassù non so che carattere grande e sublime”. Quel che ci attira, in questi ammassi di roccia e ghiaccio inospitali, è una visione dell’immaginazione, una ricerca dell’ebbrezza e a volte del rischio, invenzione europea che da due secoli e mezzo contagia tutto il mondo.
pp.122 e 123, Il dio che danza. Viaggi, trance, trasformazioni, Paolo Pecere, Nottetempo, 2021
(1): George Byron, Chide Harold’s Pilgrimage, Canto the Third, 72, Harper Collins, Harper Collins Perennial Classics, Toronto 2014.
(2): Francesco Petrarca, Epistole, IV.1.
(3): Jean-Jacques Rousseau, Giulia o la nuova Eloisa. Lettere di due amanti di una cittadina ai piedi delle Alpi (1971), trad. di P. Bianconi, Rizzoli, Milano 1964, p.89