Category Archives: persuasione

L’arte tutta sola, distaccata, sensuale per il bene della sensualità, non per perpetuare ispirazione e pensiero, arte che sia mera arte mi sembra essere la più perfetta, davvero la più imperdonabile sciocchezza

da una pagina del diario di Wallace Stevens ventenne:

“Beauty is strenght. But art – art all alone, detached, sensuous for the sake of sensuousness, not to perpetuate inspiration or thought, art that is mere art – seems to me to be the most arrant as it is the most unexcuseable rubbish.

(…)

I find in the early part of this book I have written that I could never be a great poet except in mute feeling. This is silly and immature observation. If my feelings or anybody’s are so great that they would make great poetry, be sure that they are great poetry and that he who feels them is a great poet. many of us deceive ourselves thus trifling emotions; and so given great feelings and the glory attached to them will burst out of itself unaided and uncontrolled. Of course, in the first place, prosaic people do not have poetical feelings; but that is not part of the discussion. I am speaking of the fellows who feel sweet but small pains and curse the consequent ineffectiveness that retards the advance of good work.

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Dal punto di vista dell’interessamento il Piacere è all’altezza dei più celebrati romanzi d’avventure d’ogni genere; dal punto di vista artistico e filosofico è grande per la forma, e per la coerenza dei caratteri nullo per la mancanza degli elementi naturali e per la vacuità dell’idea; dal punto di vista morale e sociale il Piacere che proclama il sogno assoluto dell’egoismo individuale, che fa risaltare sopra ogni cosa la superiorità del sangue nobile sul plebeo, che predica la religione del soddisfacimento d’ogni istinto più sfrenato, è un’opera infame.

da Il Piacere di Gabriele D’Annunzio – in La melodia del giovane divino, Carlo Michelstaedter, Adelphi

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Fr. 2

Orbene, io ti dirò – e tu ascolta e ricevi la mia parola –
quali sono le vie di ricerca che sole si possono pensare:
l’una che “è” e che non è possibile che non sia
– è il sentiero della Persuasione, perché tien dietro alla Verità-
l’atra che “non è” e che è necessario che non sia.
E io ti dico che questo è un sentiero su cui nulla si apprende.
Infatti, non potresti conoscere ciò che non è, perché non è cosa fattibile, né potresti esprimerlo.

Fr. 3

…Infatti lo stesso è pensare e essere.

da L’essere e la verità in Sulla natura, Parmenide, trad.di Giovanni Reale, Rusconi

24 agosto 1821

L’immaginazione, eccetto ne’ fanciulli, non abbisogna di fondamento nella persuasione. Omero non credeva certo a quello ch’egli immaginava. La scienza può dunque sommamente indebolire l’immaginazione; pur non è incompatibile seco lei. Per l’opposto, il sentimento se non è fondato sulla persuasione è nullo. Quell’uomo che non crede più alla virtù; che sa ch’ella è dannosa; e del resto non si trova in nessuno; che ha perduto l’idea della grandezza degli animi e delle cose e delle azioni; vedendo come tutte queste e tutti quelli son piccoli; che ha conosciuto come l’entusiasmo, l’eroismo, l’amore non hanno verun oggetto reale; che gli uomini e le cose sono indegnissime di destare in lui questi affetti ec. ec., un tal uomo come può far uso del suo cuore, come può provar più verun sentimento forte e durevole; egli che sotto le più belle apparenze, discopre chiaramente o fortemente sospetta, l’inganno, l’astuzia, la malvagità, i secondi fini, la vanità, la viltà, la nullità; la freddezza?

dallo Zibaldone, p. 1557, Giacomo Leopardi

ecco la mirabile stupidità

Edmund, il bastardo di Gloucester:

“Ecco la mirabile stupidità del mondo: quando le nostre fortune decadono – spesso per gli eccessi del nostro stesso comportamento- rendiamo colpevoli dei nostri disastri il sole, la luna e le stelle, come se fossimo delinquenti per necessità, sciocchi per coercizione celeste, furfanti, ladri e traditori per il movimento delle sfere, ubriaconi, bugiardi e adulteri per obbedienza forzata all’influsso dei pianeti – e tutto il male che facciamo è dovuto all’imperativo divino. Magnifica trovata dell’uomo puttaniere, quella di mettere i suoi istinti da caprone a carico d’una stella (…).”

Atto I – Scena II, Re Lear, William Shakespeare, Feltrinelli, trad.di Agostino Lombardo

una piccola crepa

 

Una vecchia carrucola per botti
e catene arruginite, il peso
per misurare questa città, anguilla
nel vino viva per poco eppure
mai morta, tutto rimonta
in lente spire. L’unico calco è stato
una piccola crepa sotto il fasciame
della botte. Sotto quel secco resta
un umido antico in odor di vino
segno del dolore che ha affogato
il vero dolore senza anima senza aroma.
Alla “Bella Trieste” in via D’Azeglio
fra una minestra d’orzo e un fritto di sardoni
penso alla chiesetta qui dietro in via Vasari
ai suoi lastroni, se sono rimasti
alle candele accese da generazioni
di morti. Così la carrucola dorme
appesa, aspetta di sprofondare finalmente
leggera sulla botticella di vino spanciata sotto.

da Compleanno del millennio, Fabio Doplicher, Nino Aragno Editore

il padre di Carlo Michelstaedter

(Lettera di Leopardi al Giordani del 6 marzo 1820)

“… poche sere addietro, prima di coricarmi, aperta la finestra della mia stanza, e vedendo un cielo puro, un bel raggio di luna, e sentendo un’aria tepida e certi cani che abbaiavano lontano, mi si risvegliarono alcune immagini antiche, e mi parve di sentire un moto nel cuore, onde mi posi a gridare come un forsennato, domandando misericordia alla natura, la cui voce mi pareva di udire dopo tanto tempo. E in quel momento dando uno sguardo alla mia condizione passata, alla quale ero certo di ritornare subito dopo, com’è seguito, m’agghiacciai dallo spavento, non arrivando a comprendere come si possa tollerare la vita senza illusioni e affetti vivi e senza immaginazione ed entusiasmo; delle quali cose un anno addietro si componeva tutto il mio tempo, e mi facevano così beato, nonostante i miei travagli. Ora sono stecchito e inaridito come una canna secca, e nessuna passione trova più l’entrata di questa povera anima, e la stessa onnipotenza eterna e sovrana dell’amore è annullata a rispetto mio nell’età in cui trovo… questa è la miserabile condizione dell’uomo, e il barbaro insegnamento della ragione, che, i piaceri e i dolori umani essendo meri inganni, quel travaglio che deriva dalla certezza della nullità delle cose sia sempre e solamente giusto e vero”.

Propriamente il Leopardi non può subire passivamente, “pati”; è in condizione di poter essere solo attivo, di dover dominare la materia che gli si presenta e trasformarla per la sua opera. Ciò significa, che deve vivere doppiamente nel soffrire che lo tiene immobile: da un alto il dolore come una realtà che grava su di lui; dall’altro il senso dell’impossibilità dell’attività, che si tramuta nel pieno avvertimento di quello. Nasce uno stato di conoscenza, che è un girare a vuoto nella mola della vita.

da La filosofia del Leopardi, Giovanni Amelotti, R.Fabris (1937) (in corso di pubblicazione per le Edizioni Emiliano degli Orfini)

il metodo critico di Gabriel Bounoure (appunti per 24 scatti n.3)

(…) metodo, se vogliamo, che partecipa di un’annessione amorosa. La critica procede verso la sua diletta preda con mille accortezze e secondo una tattica d’accerchiamento, come se il cercatore di senso pretendesse, attraverso dei veli d’amore sollevati uno dopo l’altro, impadronirsi del segreto di un corpo verbale che irradia la sua notte oscura sottraendosi continuamente, occultandosi, per cogliere, in un bagliore subito estinto, il centro incandescente della palpitazione.
L’esplorazione, condotta a mani nude, scalzi, in un territorio interdetto, può ripetersi più volte fino all’estinzione se non del desiderio, almeno della possibilità di un compimento assoluto, perché di ogni creatore va preservato il segreto.

da “Gabriel Bounoure, un maestro” di Salah Stétié in Il silenzio di Rimbaud, Gabriel Bounoure, Portatori d’acqua, trad.e cura di Riccardo Corsi

Eppure sono l’angelo necessario della terra,

Perché la terra nel mio sguardo rivedete,

Libera dalla sua dura e ostinata maniera umana,
E, nel mio udire, udite il suo tragico rombo

Liquidamente sollevarsi nei suoi liquidi indugi,
Come acquee parole nell’onda; come sensi detti

Con ripetizioni e approssimazioni. Non sono forse,
Io stesso, una sorta di figura approssimativa,

Una figura intravista, o vista un istante, un uomo
Della mente, un’apparizione apparsa in

Apparenze tanto lievi a vedersi che se appena
Volgo la spalla, sùbito, ahi sùbito, svanisco?

da L’angelo necessario, Wallace Stevens, Coliseum, a cura di Massimo Bacigalupo,  trad.di Gino Scatasta

Idea del silenzio

helena almeida

In una raccolta di favole tardo-antiche, si legge questo apologo:

“Era costume presso gli ateniesi che chi volesse essere considerato filosofo doveva lasciarsi frustare a dovere e, se sopportava pazientemente i colpi, allora poteva essere considerato filosofo. Un tale una volta si era sottoposto alla fustigazione e, dopo aver sopportato in silenzio le busse, esclamò: ‘ Son ben degno, dunque, di essere chiamato filosofo!’ Ma gli fu risposto a ragione: ‘Lo saresti stato, se solo avessi taciuto.’ “.

La favola insegna che certamente la filosofia ha a che fare con l’esperienza del silenzio, ma che l’assunzione di questa esperienza non costituisce in alcun modo l’identità della filosofia. Essa sta esposta nel silenzio assolutamente senza identità, sopporta il senza nome senza trovare, in questo, il proprio nome. Il silenzio non è la sua parola segreta – piuttosto la sua parola tace perfettamente il proprio silenzio.

da Idea della prosa, Giorgio Agamben, Feltrinelli

anch’io ho bisogno di te

Per la cura di questa nascono le koinoniai “intellettuali” con la tacita intesa della vicendevole compiacenza. Ognuno dà perché gli sia dato. E ognuno, se racconta la sua vita sciagurata e i fatti dolorosi di cui porta la colpa e le conseguenze, trova nella compiacenza dei compagni integra almeno l’illusione della sua individualità.
La funzione parallela al mutuo incensamento è la maldicenza, dove chi biasima un male, o l’apparenza d’un male degli altri, si afferma implicitamente libero da quello, e concede a quelli che lo ascoltano d’esserne liberi anch’essi, per aver da loro quando che sia a sua volta la concessione. – Nelle comunità amichevoli che fioriscono nella comune vanità ognuno vive della morte di chi è fuori della comunità. – Ma nella sua solitudine ognuno si ringhiotte nel suo stomaco vuoto il marcio e l’amaro di quelle conversazioni micidiali.

da Dialogo della salute, Carlo Michelstaedter, Mimesis