Category Archives: orfeo e euridice

“Povera umanità, la mia compassione è inesauribile”

Quando godiamo, ci troviamo in un buco che ci acceca. Separati dagli altri, ci aggrappiamo fisicamente a loro. Tenuti lontani dalla gloria e dal progresso, ci illudiamo di gloria e autocompiacimento. Non possediamo niente e niente abbiamo in atto: ci sembra di possedere l’intero universo attraverso un essere specifico. Ci immaginiamo aperti al mondo con il quale comunichiamo, mentre siamo confrontati a un oggetto corporeo che detiene un mondo chiuso. Ne usciamo sempre così poco immortali e indispensabili, e meno lucidi.

da Muscolature, Nathalie Gassel, ES, trad. di Monica Martignoni

La civetteria della tua unghietta

La civetteria della tua unghietta
di morto, che viene a cercare
il remoto verde del mio ramo,
io tollero, anzi reclamo.

La commedia è rovesciata e tu
sei Portinari che torna e cerca
un po’ di vita, sperandola
leggera, mondana.

Ma il verde presto vira al blu,
il blu al nero pesto:
così,  Agafio, il tuo gomito  non torna
al centro della soglia.

da Contemplazioni e zzz, Carmela Moscatiello

 

appunti per CAPSULA PETRI n.2

Ma la condizione della mia felicità, come tutto ciò che è umano, è precaria. La contemplazione di Faustine potrebbe – sebbene non possa tollerarlo neppure come pensiero – interrompersi:
Per un guasto alle macchine (non so ripararle);
Per qualche dubbio che potrebbe sopraggiungere e rovinarmi questo paradiso (debbo riconoscere che ci sono, fra Morel e Faustine, conversazioni e gesti capaci di indurre in errore persone dal carattere meno saldo del mio);
Per la mia morte.
Il vero vantaggio della mia soluzione è che della morte il requisito e la garanzia dell’eterna contemplazione di Faustine.

da L’invenzione di Morel, di Adolfo Bioy Casares, Bompiani, Il Pesanervi, trad. di Livio Bacchi Wilcock

a mio padre

Neanche con te che ora mi sorridi
con occhi nuovi in sogno
tra il viola delle nubi il giallo
asfissiante dei crisantemi –
lo slancio d’un volo che è finito,
neanche con te troverebbe le ali.
E mentre t’allontani (rimuori)
timido come da una riva ti guardo,
ti sorrido, dopo quanti anni?

da Sguardo dalla finestra d’inverno, Ferruccio Benzoni, All’Insegna del Pesce d’Oro

Are you happy?

Le cattive madri, Giovanni Segantini, 1894

Provava un doloroso bisogno di offrirsi, di donarsi agli altri, di appartenere a qualcuno, come un servo, o un cane, o una cosa: voleva appartenere loro anche dopo la loro scomparsa, affinché il dono potesse piangere la perdita del suo possessore. Sperava che la sua dedizione non fosse corrisposta, che il dono non venisse accolto, che il suo amore restasse infelice perché essere abbandonati non ha forse un suono morbido, carezzevole e benefico?. E mai nessuno straniero fu così felice come Walser e la sua controfigura, Simon Tanner. Accoglieva negli occhi e nel cuore, l’ immensa felicità che vibra sulla superficie del mondo, e il dolore che si annida nelle sue pieghe. Viveva nella felicità, come in una casa accogliente e bene ammobiliata. Il mondo, per lui, era un’ eterna domenica, un paradiso di gioia.

dall’articolo di Pietro Citati su La Repubblica del 18/10/1990

Je t’aime

da lbv212 su flickr

stretto

ILVA (Taranto), luglio 2012

*

Condotto nella
landa
dell’inconfondibile traccia:

Erba, scritta disgiunta. Le pietre, bianche,
con l’ombra degli steli:
Non leggere più – guarda!
Non guardare più – va’!

Va’, la tua ora
non ha sorelle, sei –
sei a casa. Una ruota, pian piano,
gira da sé, i raggi
s’arrampicano,
s’arrampicano su un campo nerastro, la notte
non ha bisogno di stelle, in nessun luogo
si chiede di te.

*

In nessun luogo
si chiede di te –
il luogo dove giacquero, ha
un nome – non ne
sa. Non giacquero lì. Qualcosa
stava fra loro. Non
videro attraverso.

Non videro, no,
parlarono di
parole. Nessuna
si destò, il
sonno
scese su di loro.

*

Scese, scese. In nessun luogo
si chiede –
Io, sono io,
io stavo tra voi, io ero
aperto, ero
udibile, io ticchettavo a voi, il vostro respiro
obbediva, io
lo sono ancora, ma
voi dormite.

*

Lo sono ancora –

Anni.
Anni, mesi, un dito
tasta in su e in giù, tasta
intorno:
zone di sutura, tangibili, qui
si apre ampio uno squarcio, qui
si richiuse di nuovo, chi
lo coprì?

*

Lo coprì –
chi?
Scese, scese
scese una parola, scese,
scese attraverso la notte,
volle risplendere, volle risplendere.
Cenere.
Cenere, cenere.
Notte.
Notte – e- notte. – Dal-
l’occhio va’, dall’umido.

*

Dal-
l’occhio va’,
dall’umido –
Uragani.
Uragani, da sempre,
turbini di particelle, l’altro,
lo
sai già, lo
leggemmo nel libro, ero
opinione.

Era, era
opinione. Come
ci afferrammo
noi -noi, con
queste
mani?

Era anche scritto che.
Dove? Sten-
demmo sopra un silenzio,
allattato a veleno, grande,
un
verde
silenzio, un sepalo, vi
aderiva un’idea vegetale –
verde, sì
aderiva, sì
sotto un cielo
beffardo.

Di, sì,
vegetale-

Sì.
Uragani, tur-
bini di particelle, rimase
tempo, rimase,
di tentar dalla pietra -fu
ospitale, non troncò la parola. Come
si stava bene:

granulosa,
granulosa e fibrosa. Steluta,
fitta;
uvosa e radiosa; renimorfa
placosa e
grumosa; soffice, ra-
mificata -: lei
non troncò la parola,
parlò,
parlò volentieri a occhi asciutti, prima di chiuderli.

Parlò, parlò.
Fu, fu.

Noi
non mollammo, stemmo
nel mezzo, una
struttura di pori, e
venne.

Ci venne incontro, venne
attraversò, rappezzò
invisibilmente, rappezzò
l’ultima membrana,
e
il mondo, un miriocristallo,
concrezionò, concrezionò.

*

Concrezionò, concrezionò.
Poi –
Notti, disgregate. Cerchi,
verdi o blu, rossi
quadrati: il mondo rischia il proprio intimo
nel gioco con le nuove
ore. – Cerchi,
rossi o neri, chiari
quadrati, né
ombra di volo, né
tavola d’altare, né
anima in fumo si alza e partecipa al gioco.

*

Si alza e
partecipa al gioco –
Al levarsi delle civette, dalla
pietrificata lebbra,
dalle
nostre mani fuggite, nel
più recente ripudio,
al di sopra del
parapalle presso
il muro sepolto:

visibili, di
nuovo: i
solchi, i

cori, un tempo, i
salmi. O, o-
sanna.

Così
stanno ancora templi. Una
stella
ha forse ancora luce.
Niente,
niente è perduto.

O-
sanna.

Al levarsi delle civette, qui
i colloqui,grigiogiorno,
delle tracce d’acqua freatica.

*

( – – grigiogiorno,
delle
tracce d’acqua freatica –
Condotto
nella landa
dalla
inconfondibile
traccia:

erba.
Erba,
scritta disgiunta.)

da Poesie, Paul Celan, Mondadori, a cura di Moshe Kahn e Marcella Bagnasco

Post dedicato alla militanza di Federico Fantinel

memoria e abitudine

Memoria e abitudine fanno parte dello stesso meccanismo della sensazione.
E persino (nella veglia) – le sensazioni si decifrano soltanto grazie alla memoria coordinata – o percezione chiara.
La memoria ridiscende continuamente. Essa risponde alla domanda: che cosa sta per accadere? – e – che cosa fare? Essa mi istruisce nella direzione dal passato verso il futuro.
L’abitudine è la stessa cosa ma nell’atto e negli stimoli automatici. (1905. Senza titolo, III, 498)

da Quaderni Vol.III – Memoria, Paul Valéry, Adelphi, trad.di Ruggero Guarini

scena muta

Ci teniamo vicini
all’urlo, mentre passa il dodici
e l’attimo separato
dal suo vortice resta qui, nel cuore
buio dell’estate, nell’annuncio
di una volta sola. Tu
non ci sei. Resta la tua assoluta
voce nella segreteria, questa
morte che non ha luogo.

da Scena muta, in Tema dell’addio, in Poesie, Milo de Angelis, Mondadori

La tendenza a ritrovare in un mondo esterno ostile ciò a cui si è affezionati, costituisce forse anche la fonte originaria della costruzione dei simboli

da Analisi dei paragoni, in Fondamenti di psicoanalisi, Sandor Ferenczi, Guaraldi