Category Archives: occhio di milo

della continuità

(…)

La frustrazione maggiore, per l’ignaro fantasma, è non riuscire più a spostare gli oggetti come in antico soleva: ma poiché la frustrazione era sempre stata una delle sue predominanti passioni, questo particolare smacco non viene valutato come meriterebbe. Si conoscono casi in cui la frustrazione, trasferita alla casa, produce quei cigolii e quegli scricchiolii, quegli inspiegabili rumori di passi, quegli sbattimenti di porte che tanta fortuna hanno avuto ed hanno presso il semplice e credulo popolino: quando nessuna occulta regia vi presiede, nessun terroristico fine, sì solo il patetico conato del corpo domestico di riscuotersi da quell’avvilente impotenza.

Da Fantasmagonia in Fantasmagonia, Michele Mari, Einaudi

a Adelaide Antici, ad Anna Fiorentin

al di là di questo certo e tranquillo non amarti

Al di là di questo certo e tranquillo non amarti
ora madre t’amo e ti vorrei vicina
madre che in me vivi.
e dài, di tua presenza, certezza al viver mio senza peso;
con la durezza del tuo volere e amare.

(1° gennaio 1933)

da Diario umano, Giovanni Amelotti, Emiliano degli Orfini – Genova, 1934

appunti per Trentasei e dieci vedute n.4

Bruno Illich

Gertrude Stein riesce notoriamente a sconvolgere i canoni fondamentali del genere autobiografico. Scrivendo l’Autobiografia di Alice Toklas, ella infatti contravviene alla regola elementare per cui il protagonista di un’autobiografia ne è anche l’autore. Nel libro in questione tale coincidenza salta. Come annuncia il titolo, Gertrude Stein scrive e firma l’autobiografia di un’altra, ossia l’Autobiografia di Alice Toklas, dove Alice parla in prima persona.

(…)

L’Autobiografia di Alice Toklas è dunque un’autobiografia di Gertrude Stein, scritta da Gertrude Stein, dove Gertrude medesima compare però nel testo come un personaggio narrato da Alice. Il gioco della finzione può anche essere formulato diversamente. Si può infatti anche dire che, nell’Autobiografia di Alice Toklas, Alice stessa, pur figurando nel ruolo autobiografico della prima persona, viene tuttavia a svolgere il ruolo della biografa di Gertrude Stein. Insomma, la finzione è complessa e divertente proprio perché è esplicita. Il genere autobiografico e quello biografico si sovrappongono.

da Tu che mi guardi, tu che mi racconti. Filosofia della narrazione, di Adriana Cavarero, Feltrinelli

Termometria

A una certa tenera età, ho forse sentito una voce, un contralto profondamente commovente…

Questo canto dovette mettermi in uno stato di cui nessun oggetto mi aveva mai dato l’idea. Esso ha impresso dentro di me la tensione, l’attitudine suprema richiesta, senza offrire un oggetto, un’idea, una causa (come fa la musica). E io senza saperlo l’ho assunto come misura degli stati e ho mirato, per tutta la mia vita, a fare, cercare, pensare quel che avrebbe potuto direttamente riprodurre in me, esigere da me – lo stato corrispondente a quel canto fortuito; – la cosa reale, introdotta, assoluta il cui incavo era stato preparato fin dall’infanzia da quel canto – dimenticato.
Il caso vuole che io sia forse graduale. Ho l’idea di un massimo di origine nascosta, che aspetta ancora dentro di me.
Una voce che scuote fino alle lacrime, alle viscere; che funge da catastrofi e scoperte; che riesce a spremere, senza incontrare ostacoli, le mammelle sacre/ ignobili/ dell’emozione/ stolida; che in un modo artificiale, di cui il mondo reale non ha mai bisogno, risveglia degli estremi, insiste, rimesta, annoda, riassume eccessivamente, sfibra gli organi della sensibilità, …svaluta le cose osservabili…La si dimentica e non ne resta che il sentimento di un grado al quale la vita non potrà mai avvicinarsi. (1910)

da Quaderni. Volume Primo – Ego, Paul Valéry, Adelphi, trad.di Ruggero Guarini

cosmological redshift

Milo e Giorgio, Trieste 1935-36

Dopo qualche assalto infruttuoso, non rinunciare, e non insistere neppure. Ma custodisci quel problema nelle cantine della tua mente, dove esso migliora. Trasformatevi tutti e due. (Quaderni 1900-1901, Senza titolo, III, 779)

Da questi quaderni vedo che la mia mente si diletta in particolare di certe trasformazioni simili a quelle dell’analisi, e che derivano dall’attività spontanea delle analogie. (…) (1922. S, VIII, 676)

da Quaderni – Volume primo, Paul Valéry, Adelphi, a cura di Judith Robinson-Valéry, trad.di Ruggero Guarini

secondino fammi un favore, porta l’inchiostro con carta e penna

Il Moro della Vedra

Il primo furto da me compiuto
Lo feci in casa di una signora
Io le puntai il coltello alla gola
E di quattrini in quantità.

E quattrocento marenghi d’oro
Ma mescolati con quej d’argento
Io me ne andai felice e contento
All’osteria a mangiar e ber.

Appena giunta la mezzanotte
E una pattuglia di polizia
Ha circondato quell’osteria
E al numer dù lor mi han portà.

E a tradirmi fu un amico caro
Ma che di nome si chiamava Nero
Io lo credevo un amico sincero
E invece lù così el me ha tradì.

Oh Nero, Nero ma dove sei
O traditore della vita mia
Sei sempre stato una falsa spia
Io te lo giuro me la pagherai.

Oh sì vendetta, sì fu fatta
Con quattro colpi, ma di pugnale
Io t’ ho mandato all’ospedale
Ti giuro che non uscirai mai più.

O secondino fammi un favore
Porta l’inchiostro con carta e penna
Che voglio scrivere alla mia bella
Che in galera mi venga a trovar.

da I testi delle canzoni popolari milanesi, La malahttp://www.canzon.milan.it

palinodìa

Trieste 1936, foto di Milo Müller

In primo luogo, scoprii questo. Ciò che la Fotografia riproduce all’infinito ha avuto luogo solo una volta: essa ripete meccanicamente ciò che non potrà mai ripetersi esistenzialmente.

(…)

Procedendo così di foto in foto (finora, a dire il vero, tutte pubbliche) avevo forse appreso come procedeva il mio desiderio, ma non avevo scoperto la natura (l’eidos) della Fotografia. Dovevo convenire che il mio piacere era un mediatore imperfetto, e che una soggettività ridotta al suo solo progetto edonista non poteva riconoscere l’universale. Dovevo penetrare maggiormente dentro di me per trovare l’evidenza della Fotografia, quella cosa che è vista da chiunque guardi una foto, e che la distingue ai suoi occhi da ogni altra immagine. Io dovevo fare la mia palinodia.

da La camera chiara. Nota sulla fotografia, Roland Barthes, Einaudi, trad. di Renzo Guidieri

sull’autobiografia

Georges Perec: “Quest’autobiografia dell’infanzia si è fatta partendo da descrizioni di foto, da fotografie che servivano da intermediari, da strumenti di avvicinamento a una realtà di cui sostenevo di non possedere il ricordo. In realtà si è fatta attraverso un’esplorazione minuziosa, quasi ossessiva a forza di precisazioni, di dettagli. Attraverso questa minuziosità nella scomposizione, qualcosa viene rivelato. Je me souviens si colloca in una specie di via di mezzo e potrebbe continuamente precipitare nella relazione che ho con questo ricordo. Quando scrivo “Mi ricordo che la mia prima bicicletta aveva le gomme piene”, non è un’innocente banalità! Ne ho ancora la sensazione fisica eppure, apparentemente, è una cosa neutra.”

Frank Venaille: “Sì, è per quanto riguarda questa pseudoinnocenza, questa falsa apparenza della neutralità, non pensi che avresti benissimo potuto lavorare con una scatola di fotografie portateti da qualcuno e appartenenti a una famiglia a te sconosciuta, che ti avrebbe così fornito gli elementi di una finzione?”

Georges Perec: “L’ho fatto! Ho partecipato a una trasmissione televisiva intitolata La vita filmata dei francesi, che era un montaggio di film di dilettanti degli anni ’30-’36, per il quale ho scritto il commento. Ho quindi lavorato su documenti nei quali ho ritrovato quasi la mia propria storia.”

da Sono nato – Il lavoro della memoria(intervista di Frank Venaille), Georges Perec, Bollati Boringhieri, trad.di Roberta Delbono