Category Archives: naufragi

qualunque pietra tu alzi

Qualunque pietra tu alzi –
li discopri, coloro cui occorre
il riparo delle pietre:
denudati,
rinnovano il loro intreccio.

Qualunque tronco tu abbatti –
inchiodi assi
d’un giaciglio, ove
di nuovo s’ammucchiano le anime,
come se non si scotesse
anche quest’
Era.

Qualunque parola tu dica –
rendi grazie
alla perdizione.

da Di soglia in soglia, Paul Celan, Einaudi, trad. di Giuseppe Bevilacqua

lettera di Pavese a Linder

Torino, 29 settembre 1947

Caro Linder,
mentre attendiamo i libri nuovi (Lowry, Honig, Bourdet), le rimando i due romanzacci: Steps going down e The story of Mr.Murphy. Sono di quei libri di larga umanità e non senza insegnamento, che mi schifano.
La Nagel mi ha dato il Sargeson. Henriques l’ho avuto.
Grazie e saluti.

Pavese

da Lettere 1945-1950, Cesare Pavese, Einaudi

Lettera dedicata all’amico Federico Fantinel

una militanza

mara fam

Tutto il mio lavoro naturale, quello della mia natura – e che ho eseguito per tutta la mia vita, a partire dai 20 anni, non consiste che in una specie di preparazione perpetua, senza oggetto, senza finalità – forse altrettanto istintiva che il lavoro di una formica, benché di tendenza additiva, perfettiva; benché infine orientata in direzione di una crescita della coscienza stranamente perseguita con ostinazione e istinto costante.

da Quaderni – Volume Primo – Ego, Paul Valéry, Adelphi, trad.di Ruggero Guarini

Alpha & Mila

Marcelito

1914

Nel suo tratto cupo, quasi malvagio – scrive Hans Limbach-, c’era un che d’affascinante come in un criminale. Aveva infatti l’espressione fissa della maschera; la bocca si apriva appena nel parlare e gli occhi scintillavano talora sinistramente. Subito D. (Carlo Dallago) lo investì al suo solito di domande; ma Trakl dava risposte brevi e controvoglia, e se una domanda gli sembrava troppo intima, si ritraeva intimidito e quasi astioso.

da Idea di biografia di Clio Pizzingrilli in Gli ammutoliti. Lettere 1900-1914, Georg Trakl, Quodlibet

Moneglia il 15 ottobre 2012

Please don’t go, please don’t go, I love you so, I love you so

La casa sul mare

– è da tanto che non lo vedi?
– Tre anni dopo che…
– Dopo la mia morte?
– Tre anni

Il tempo s’era fatto immobile.
Quieta risciacquava un’infelicità
stordita, senza struggimento.

– E tu?
– Oh, io, ma sparuta nebbia tu…
– La neve mi fodera che riposa
algida sul mio ghiaccio come
una sposa, una colomba senza desideri.
Ricordami, tu che mi ascolti
di là da un vetro, di un altro
inverno in attesa per sognarli
monologanti comunque
vivi i tuoi numi.

– Non esiliarmi dalla tua foschia.
Prendila questa mia supplica
estrema. Prendila, ripetila
(non esiliarmi…)
lentamente con me, ripetila.
Come una giovanetta fulgente
piegando a una culla le ginocchia.
Quante (arrossendo) nuvole nei
venti d’inverno avrai
amato torbide scavallando.

Con labbra
velate di notte accennai
increscioso un addio che era
sognava un brillìo sui capelli
radi (ricordo) falcidiati.

da Sguardo dalla finestra d’inverno, Ferruccio Benzoni, All’Insegna del Pesce d’Oro

Non mi è stato possibile scoprire il nome della lettrice del Secolo XIX, autrice della foto

A una specialmente…

A una specialmente voleva bene perché era tutta bianca, e la prendeva in braccio e la stringeva e la accarezzava; un giorno la trovò tutta sporca. “Povera gallina” disse “chi t’ha conciata in questo modo…, vieni dal tuo papà…che ti farà più bianca,…più bianca di prima…sarai contenta?- poi ti darò dolci- poi ti porterò a letto…”. E andava lavandola e fregandola e tanto facendo e con tanta foga che la gallina per troppa contentezza – crepò.
“Bravo Paolino!” gli disse la mamma “non lo sai che non bisogna tormentare le bestie?”.
E Paolino tutto in lagrime: “io…io non volevo tormentarla…io volevo far piacere alla gallina perché era tutta sporca”.
“Tu non puoi sapere quello che fa piacere alla gallina” sentenziò la mamma; “vedi, invece di farle piacere la hai ammazzata – bisogna studiare – e quando sarai un uomo saprai anche questo”.

da Paolino – La melodia del giovane divino, Carlo Michelstaedter, Adelphi

il nano

Sulla vetta del colle, quella notte,
nell’aria che risuona ho visto il nano.
Gli alberi curvi,
la bestia silenziosa sotto il vento.

E ho visto i viaggiatori fermi e rigidi,
sicuri della morte, irrigiditi e pronti per la bara
in quella plaga immobile,
a mani giunte, con cappelli alti.

da Poesie, Harold Pinter, Gremese Editore, a cura di Roberto Sanesi 

All’amica lontana nel 2021

Nove anni da che t’ho salutata
o mia dimenticata, giovane siciliana.

Fra noi due si distese
un’impervia rovina
di lontananza e tempo,
e il trombettiere delle morti
sui valichi suona il silenzio.

Ma l’eco d’una tua risata,
ultimo celeste addio
per nove anni si aggirò
su quel desolato paese
rimbalzando in corsa, l’effimera
fanciulletta. E l’approdo
quale fu? Sola
nella mia stanza ero
oggi, e stupore mi morse.
L’eco d’un tratto udii
della tua risata.
Ti riconobbi, e il piacere
d’un batticuore mi corse.

A te grazie, fragile eco!
Canaria bella volavi
a questo nido.
Dolce marina frugavi
fra queste foglie.
Gemma arancione t’accendevi
sul calcinato muro.

Poi, fu di nuovo il silenzio
nella memoria,
e io della stanza vuota
signora.

(Già s’incrinava, nel punto
che l’orecchio mi sfiora.)

(1943)

da Alibi – Poesia per Saruzza, Elsa Morante, Garzanti

stretto

ILVA (Taranto), luglio 2012

*

Condotto nella
landa
dell’inconfondibile traccia:

Erba, scritta disgiunta. Le pietre, bianche,
con l’ombra degli steli:
Non leggere più – guarda!
Non guardare più – va’!

Va’, la tua ora
non ha sorelle, sei –
sei a casa. Una ruota, pian piano,
gira da sé, i raggi
s’arrampicano,
s’arrampicano su un campo nerastro, la notte
non ha bisogno di stelle, in nessun luogo
si chiede di te.

*

In nessun luogo
si chiede di te –
il luogo dove giacquero, ha
un nome – non ne
sa. Non giacquero lì. Qualcosa
stava fra loro. Non
videro attraverso.

Non videro, no,
parlarono di
parole. Nessuna
si destò, il
sonno
scese su di loro.

*

Scese, scese. In nessun luogo
si chiede –
Io, sono io,
io stavo tra voi, io ero
aperto, ero
udibile, io ticchettavo a voi, il vostro respiro
obbediva, io
lo sono ancora, ma
voi dormite.

*

Lo sono ancora –

Anni.
Anni, mesi, un dito
tasta in su e in giù, tasta
intorno:
zone di sutura, tangibili, qui
si apre ampio uno squarcio, qui
si richiuse di nuovo, chi
lo coprì?

*

Lo coprì –
chi?
Scese, scese
scese una parola, scese,
scese attraverso la notte,
volle risplendere, volle risplendere.
Cenere.
Cenere, cenere.
Notte.
Notte – e- notte. – Dal-
l’occhio va’, dall’umido.

*

Dal-
l’occhio va’,
dall’umido –
Uragani.
Uragani, da sempre,
turbini di particelle, l’altro,
lo
sai già, lo
leggemmo nel libro, ero
opinione.

Era, era
opinione. Come
ci afferrammo
noi -noi, con
queste
mani?

Era anche scritto che.
Dove? Sten-
demmo sopra un silenzio,
allattato a veleno, grande,
un
verde
silenzio, un sepalo, vi
aderiva un’idea vegetale –
verde, sì
aderiva, sì
sotto un cielo
beffardo.

Di, sì,
vegetale-

Sì.
Uragani, tur-
bini di particelle, rimase
tempo, rimase,
di tentar dalla pietra -fu
ospitale, non troncò la parola. Come
si stava bene:

granulosa,
granulosa e fibrosa. Steluta,
fitta;
uvosa e radiosa; renimorfa
placosa e
grumosa; soffice, ra-
mificata -: lei
non troncò la parola,
parlò,
parlò volentieri a occhi asciutti, prima di chiuderli.

Parlò, parlò.
Fu, fu.

Noi
non mollammo, stemmo
nel mezzo, una
struttura di pori, e
venne.

Ci venne incontro, venne
attraversò, rappezzò
invisibilmente, rappezzò
l’ultima membrana,
e
il mondo, un miriocristallo,
concrezionò, concrezionò.

*

Concrezionò, concrezionò.
Poi –
Notti, disgregate. Cerchi,
verdi o blu, rossi
quadrati: il mondo rischia il proprio intimo
nel gioco con le nuove
ore. – Cerchi,
rossi o neri, chiari
quadrati, né
ombra di volo, né
tavola d’altare, né
anima in fumo si alza e partecipa al gioco.

*

Si alza e
partecipa al gioco –
Al levarsi delle civette, dalla
pietrificata lebbra,
dalle
nostre mani fuggite, nel
più recente ripudio,
al di sopra del
parapalle presso
il muro sepolto:

visibili, di
nuovo: i
solchi, i

cori, un tempo, i
salmi. O, o-
sanna.

Così
stanno ancora templi. Una
stella
ha forse ancora luce.
Niente,
niente è perduto.

O-
sanna.

Al levarsi delle civette, qui
i colloqui,grigiogiorno,
delle tracce d’acqua freatica.

*

( – – grigiogiorno,
delle
tracce d’acqua freatica –
Condotto
nella landa
dalla
inconfondibile
traccia:

erba.
Erba,
scritta disgiunta.)

da Poesie, Paul Celan, Mondadori, a cura di Moshe Kahn e Marcella Bagnasco

Post dedicato alla militanza di Federico Fantinel

osserva questo freddo volto, osserva

xilografia di Francesco Nonni

Osserva questo freddo volto, osserva:
in lui non c’è più vita;
ma quanto vi decifri ancora il segno
delle passioni antiche!
Così l’irosa corrente, ghiacciata,
pende sul precipizio
e, perso il suo ruggito minaccioso,
serba l’ombra del moto.

Gennaio 1825

da Liriche, Evgenij Baratynskij, Einaudi, a cura di Michele Colucci