Category Archives: moneglia

Dello stesso

Umana cosa picciol tempo dura
E certissimo detto
Disse il veglio di Chio,
Conforme ebber natura
Le foglie e l’uman seme,
Ma questa voce in petto
Raccolgon pochi. All’inquieta speme,
Figlia di giovin core,
Tutti prestiam ricetto.
Mentre è vermiglio il fiore
Di nostra etade acerba,
L’alma nostra etade acerba,
L’alma vota e superba
Cento dolci pensieri educa invano,
Nè morte aspetta nè vecchiezza; e nulla
Cura di morbi ha l’uom gagliardo e sano
Ma stolto è chi non vede
La giovanezza come ha ratte l’ale,
E siccome alla culla
poco il rogo è lontano.
Tu presso a porre il piede
In sul varco fatale
Della plutonia sede,
Ai presenti diletti
La breve età commetti.

dai Canti di Giacomo Leopardi

congedo

La pioggia ha ripulito gli erti muri di case
io scrivo sopra l’arco di pietra bianca
e lievemente sento
rafforzarsi la mano stanca ai versi
d’amore, dolci eterni ingannatori.

Io veglio nella notte tempestosa sui flutti alti del mare!
E sfuggii forse alla mano amorosa
del mio angelo: ho ingannato il mondo, e il mondo me.
Vicino alle conchiglie, nella sabbia,
ho sepolto la salma.

Leviamo gli occhi ad un unico cielo –
e ci invidiamo la terra?
Perché Dio balenando ha trasmigrato ad Oriente,
travolto dall’immagine delle sue creature?

Io veglio nella notte tempestosa sui flutti alti del mare!
E quel che mi unì al giorno di riposo
della Sua creazione, è come un tardo stormo d’aquile
sparito in questo buio minaccioso.

Da Ballate ebraiche e altre poesie, Else Lasker-Schūler, Giuntina

Moneglia il 15 ottobre 2012

Please don’t go, please don’t go, I love you so, I love you so

La casa sul mare

– è da tanto che non lo vedi?
– Tre anni dopo che…
– Dopo la mia morte?
– Tre anni

Il tempo s’era fatto immobile.
Quieta risciacquava un’infelicità
stordita, senza struggimento.

– E tu?
– Oh, io, ma sparuta nebbia tu…
– La neve mi fodera che riposa
algida sul mio ghiaccio come
una sposa, una colomba senza desideri.
Ricordami, tu che mi ascolti
di là da un vetro, di un altro
inverno in attesa per sognarli
monologanti comunque
vivi i tuoi numi.

– Non esiliarmi dalla tua foschia.
Prendila questa mia supplica
estrema. Prendila, ripetila
(non esiliarmi…)
lentamente con me, ripetila.
Come una giovanetta fulgente
piegando a una culla le ginocchia.
Quante (arrossendo) nuvole nei
venti d’inverno avrai
amato torbide scavallando.

Con labbra
velate di notte accennai
increscioso un addio che era
sognava un brillìo sui capelli
radi (ricordo) falcidiati.

da Sguardo dalla finestra d’inverno, Ferruccio Benzoni, All’Insegna del Pesce d’Oro

Non mi è stato possibile scoprire il nome della lettrice del Secolo XIX, autrice della foto

strada per un ritorno a casa, II

La porta è connessa ai rites de passage; “Si attraversa il passaggio, che può essere indicato in molti modi diversi – sia attraverso due aste conficcate nel suolo, che tendono eventualmente a incrociarsi in alto, sia attraverso un tronco spaccato al centro e divaricato..o un ramo di betulla curvato a cerchio…- si tratta comunque di sfuggire a un elemento ostile, di liberarsi di una qualche tara, di affrancarsi da una malattia o dagli spiriti dei defunti, che non possono infilarsi nello stretto passaggio.” Ferdinando Noak, Triumph und Triumphhogen (Conferenze della Biblioteca Warburg, V, Lepzig, 1928, p.153). Chi penetra un passage percorre il passaggio-porta in senso inverso (ovvero si riconsegna al mondo intra-uterino).

da I Passages di Parigi, Vol.I, Casa di sogno, museo, terme, di Walter Benjamin, Einaudi, a cura di Enrico Ganni

 

udii poi campane estesissime

Campanile Santa Croce di Moneglia (GE)

In quel tempo, io tornai più volte, in sogno, a Toledo, e non la riconoscevo. Mi ricordo che ero partita nel pomeriggio, sola, di nascosto al mio amico, e dopo cinquemila anni giunta qui, e Toledo non era più. Solo un mare di cenere, e la Collina, e un angelo grandissimo davanti a poche pietre (resto della Fortezza), che vedendomi disse:
“Non piangere. Il sole non è più qui”.
Discesi in centro e, come dissi, la città più non era, ma una radura sparsa di pietre, grandissima, con alcuni alberi anneriti, e dagli alberi pendevano frutti di veleno. Vi erano uccelli che volavano stancamente qua e là, e riconobbi nelle loro facce(perché avevano faccine bellissime) fisionomie nobili e note. Essi beccavano, beccavano nella rena, senza nulla trovare.
Udii poi campane estesissime, e mi svegliai.
Ero nella mia casa marine, tutte le porte mancavano, dovunque era mesta luce, e né Apa e nessun altro degli abitanti esisteva più.

Dio, quanti giorni restai ad attendere passi cari.
Finché vennero, preceduti da una lettera (d’amore), e di nuovo mi ritrovai nella nostra casa della Francia, e riudii i lamenti del mare.

Quando tutti i nostri affannati racconti di gioia, le voci del ritrovamento, si furono quietati, egli mi disse:
“Vedesti cosa capita, cuore, a ritornare sulla via precedente?”
“Sì, vidi. Ma come farò, caro, a vivere qui, sapendo che essi furono?”
“Eppure si potrà” con pietà egli disse.
E, e piegato sulla mia gamba, tolse dal foro una delle navi di ferro che continuamente apparivano, e in un muto furore la gettò via:
“Non finiranno mai, mai di apparire!” così disse.
In quanto a me, guardavo la mia gamba con terrore.

Eppure guarì, dopo un anno era tornata completamente liscia, e in luogo delle navi vi era un prato verdissimo, dove Reyn A. riposava.
Inesauribile era il nostro tempo, ora che io ero guarita e felice.

da Il porto di Toledo, Anna Maria Ortese, Rizzoli

Sagrato della Chiesa Santa Croce di Moneglia

segnature

foto di Luca Donnini

Di cosa è fatto uno spettro? Di segni, anzi, più precisamente, di segnature, cioè di quei segni, cifre o monogrammi che il tempo scalfisce sulle cose.
Uno spettro porta sempre con sé una data, è, cioè, un essere intimamente storico. Per questo le città vecchie sono il luogo eminente delle segnature che il flâneur  legge quasi distrattamente nel corso delle sue derive e delle sue passeggiate; per questo i cattivi restauri, che confettano e uniformano le città europee, ne cancellano le segnature, le rendono illeggibili. E per questo le città – e in special modo Venezia- assomigliano ai sogni. Nel sogno, infatti, ogni cosa strizza l’occhio a colui che la sogna, ogni creatura esibisce una segnatura, attraverso la quale significa di più di quanto i suoi tratti, i suoi gesti, le sue parole potrebbero mai esprimere. Eppure, anche chi cerca ostinatamente di interpretare i suoi sogni, da qualche parte è convinto che essi non vogliano dir nulla. Così nella città tutto ciò che è accaduto in quella calle, in quella piazza, in quella ruga, di colpo si condensa e cristallizza in figura, insieme labile ed esigente, muta e ammiccante, risentita e distante. Quella figura è lo spettro o il genio del luogo.

da Nudità, Giorgio Agamben, Nottetempo

scena muta

Ci teniamo vicini
all’urlo, mentre passa il dodici
e l’attimo separato
dal suo vortice resta qui, nel cuore
buio dell’estate, nell’annuncio
di una volta sola. Tu
non ci sei. Resta la tua assoluta
voce nella segreteria, questa
morte che non ha luogo.

da Scena muta, in Tema dell’addio, in Poesie, Milo de Angelis, Mondadori

La tendenza a ritrovare in un mondo esterno ostile ciò a cui si è affezionati, costituisce forse anche la fonte originaria della costruzione dei simboli

da Analisi dei paragoni, in Fondamenti di psicoanalisi, Sandor Ferenczi, Guaraldi

al mio approdo, moneglia

Oltre, sopra un fitto manto del verde più profondo, una catena d’alti colli e scabri, spiccati in basso da un lungo e sottile nuvolario e come vaganti in alto nel terso del mattino, catena che s’incurva e che s’impenna, accidentata e vasta, verso l’occaso, in una bellissima montagna che di balza in balza precipita nel mare.
E più che avanza nel mezzo le braccia del gran golfo la nave mia e in dentro il calmo lago del suo porto, ecco che mi giungono i romori, bronzei e murmuranti di campane, spacconi di bombarde pei legni che vi salpano, e a mano a mano che più prossima si fa alla banchina, tra la boscaglia d’alberi e di vele, ove si scorge il brulicare d’òmini, animali, carrette e mercanzie, s’odon urla, frastuoni, tonfi, stridori e strepitii.
E a mano a mano io mi trovai a passare dal sogno e dall’incanto al risveglio più lucido, alla visione più netta delle cose, ne la luce di giugno più vere e crude, ch’invade l’animo mio d’incertezza e d’ansia pel futuro, finito questo tempo sospeso e irreale del viaggio.

da Retablo, Vincenzo Consolo, Sellerio