Category Archives: il disegno

il mio tavolo di 68x120x80 cm

Fra tutte le distanze la migliore possibile
è quella di un tavolo di normale grandezza,
di ristorante per esempio o di cucina,
dove possibilmente io possa raggiungerti
ma in verità non lo farò.
E fuori la stessa luce di ieri, lo stesso azzurro
aprono altre distanze
e chiedo alla gentilezza delle nuvole
di intervenire, meglio grigie che bianche,
per svelare l’imbroglio degli azzurri
che fingono la grandezza, fingono l’infinito,
la luce effimera – la ladra.

da Poesie (1974-1992), Patrizia Cavalli, Einaudi

appunti per Mi chiamo M.M. n.30

Lo scenario di produzione non è né “autoritratto” né “autobiografia”, pur partecipando di entrambi. Tematizza quella parte dell’esistenza di un artista che lo definisce come tale. Ha qualcosa dell’autobiografia, ma non è “autobiografia”: la vita di un pittore non è soltanto fatta del suo lavoro.

da L’invenzione del quadro. Arte, artefici e artifici nella pittura europea, Victor I. Stoichita, Il Saggiatore, trad. di Benedetta Sforza

l’occhio sorpreso dello spettatore

L’osservatore risulta essere simultaneamente “colui che guarda” e “colui che è guardato”. Sta a lui operare la relazione intertestuale.

(…)

è ” l’occhio sorpreso” dello spettatore (una definizione davvero felice, di Francoise Siguret) che deve stabilire la necessaria dipendenza tra i due livelli dell’immagine.

da L’invenzione del quadro. Arte, artefici e artifici nella pittura europea, Victor I. Stoichita, Il Saggiatore, trad. di Benedetta Sforza

appunti per 24 scatti n.8

Rembrandt possiede un secondo occhio che coglie delle cose, qualunque esse siano, la loro antichità naturale. Coglie quest’aspetto senza volerlo, con una precisione immediata e sfolgorante. Tutto in Rembrandt è antico, come se la vita fosse già avvenuta in quel punto in cui essa si ripete viva per sempre con tutto il tumulto, la sospensione eccitante, l’istantaneità del “movimento”. Non c’è quadro di Rembrandt che non possieda un back-ground, insieme uno sfondo e un’oscurità. Quest’antichità, questa vecchiaia delle cose proviene da un luogo immoto e remoto che le fa essere carnose, viventi, reali nella loro illusione e nella loro essenza tangibile. Questo luogo non può essere che l’oscurità e queste cose non possono essere che la luce.

da Rembrandt, in Falbalas, Cesare Garboli, Garzanti

Appunti per 24 scatti n.5

“Il cinema non è l’arte del movimento” – ha scritto giustamente Renato May. Sarebbe forse azzardato dire che il movimento (cioè la riproduzione del movimento proiettata sullo schermo, risultante dall’analisi delle sue fasi e dalla sintesi che se ne realizza poi sfruttando il noto fenomeno fisiologico della permanenza dell’immagine sulla retina) è fattore contingente nel cinema, e che si potrebbe fare del cinema anche con immagini statiche solo servendosi del montaggio; è certo poi che “inquadratura e montaggio sono i due elementi fondamentali del film come arte”. Il movimento ha importanza e valore in quanto aumenta le possibilità del cinema; permette al cinema di raggiungere una maggiore completezza narrativa rispetto, ad es., a quell’altre forme di narrazione figurata (…): costituisce materia di racconto, non valore estetico di linguaggio. Il tentativo di rappresentare il movimento, evidente nei bisonti di Altamira, in antiche pitture vascolari, ecc, testimonia che già in epoche lontane era vivamente sentita quella che sarà poi aspirazione quasi costante della pittura e della scultura nei secoli. E se si vuol convenire con quanto dice G.M. Scotese in Introduzione al cinema che “il movimento non è da considerarsi come valore espressivo essenziale della pittura e della scultura”, si deve per altro ammettere che quel desiderio d dare dinamicità alle figure trova la sua motivazione nell’ansia degli artisti di esprimere e far vibrare la vitalità che sentivano in sé, oltre l’apparenza esteriore, e quella del mondo. Preoccupazione questa che non ha ragion d’essere nel cinematografo; ché in esso, per virtù meccanica, l’illusione della vita è pienamente raggiunta. Nel cinema è punto di partenza, extra-artistico, quello che per l’arte plastica e figurativa, su altro piano, è punto d’arrivo. Onde chiaramente risulta che altra cosa è il movimento cui aspirarono nei secoli le arti suddette da quello che il cinema realizza sullo schermo; là rappresentazione concettuale, suggestione poetica, qui mera riproduzione meccanica del movimento.
Veniamo ora alla “proiezione”, alle “ombre cinesi” e simili. Francesco Pasinetti, nella prima pagina della sua Storia del cinema trattando della “Preistoria”, cita le ombre cinesi; mostra di considerare quei curiosi giochetti basati sul principio della proiezione remoti antenati del cinematografo; ma troppo brevemente s’indugia su questo punto, talché sarebbe ingiusto voler individuare in quelle poche parole un suo meditato pensiero. Lo Scotese invece ne tratta diffusamente nell’op.cit., inventa qualche bella immagine (l’uomo che scopre la sua ombra disegnata sulla sabbia della luna) e si dilunga in complicati ragionamenti. Ma a noi pare che l’errore sia qui ancor più evidente che nel caso precedente (del movimento). è indiscutibile che la proiezione nelle sue diverse forme prelude, come fenomeno fisico, al cinematografo, giacché, oggi, essa è la forma attraverso cui il cinema si manifesta. Ma questo è fatto del tutto contingente. Forse che il cinema è quello che è perché si manifesta mediante la proiezione, e se si potesse altrimenti estrinsecare non sarebbe più cinema? Lo Scotese scrive che la proiezione è da considerarsi sotto due aspetti: come fenomeno fisico e come valore estetico. E cerca di giustificare la seconda parte della sua proposizione, evidentemente sorprendente, con la complicata disquisizione cui abbiamo alluso; la quale ha per tesi che la somma Proiezione-Movimento, in cui lo scrittore individua la “forma fisica del cinema”, ha “reale esistenza artistica”. Noi riteniamo inopportuno seguire l’autore su tale problematica strada, né crediamo utile contraddire certe sue affermazioni collaterali visibilmente insostenibili e di scarsa importanza ai fini del nostro discorso; come quando assicura che la proiezione, in quanto forma, modo di essere, è sempre stata nel sangue dell’uomo ecc.; il che equivale pressapoco a dire che il fonografo, ad es., (e non la musica) è sempre stato nel sangue dell’uomo.
Solo nelle forme citate di pittura e scultura con intenzioni narrative, dunque, vanno ricercati gli antenati, le anticipazioni del cinema. Quasi tutte le espressioni figurative e plastiche delle prime età, anzi, preludono in certo modo al cinema. Questo, s’è detto, narra per mezzo d’immagini; e non servivano il disegno, la pittura, la scultura, allorché gli uomini ancora non avevano appreso ad esprimersi con la parola, per comunicare coi propri simili, per raccontare le cose? Più tardi, col rinvenimento del linguaggio orale e scritto, il disegno, la pittura, perdettero quelle funzioni pratiche e utilitarie, e acquistarono man mano natura e funzioni edonistiche e poetiche, diventarono espressioni artistiche.
Potremmo quindi dire, rispondendo al quesito iniziale e rifacendoci ancora agli esempi proposti, che il cinema nacque come germe insieme al disegno e in genere alle forme figurative e plastiche il giorno che un uomo, per raccontare ad altri un certo avvenimento, cercò di raffigurarlo tracciando segni sulla terra battuta, o ne plasmò rozzamente col fango gli elementi – animali, uomini o altro- e li dispose acconciamente. E fra le forme espressive o le opere, del genere figurativo e plastico, dei tempi andati, a quelle, cui più volte abbiamo accennato, che mirarono a una narrazione figurata, dalla Colonna Traiana alla Storia della Passione di Hans Memling, accorderemo il carattere di antenati, anticipazioni del cinematografo.

da Antecinema di Giuseppe Rosso in Sequenze – Quaderni di Cinema a cura di Antonio Marchi, n.8, 1950, Officina Grafica Fresching – Parma