Category Archives: i vivi

mi sono annegata

Mai avuto un solo pensiero che non fosse la paura, se mi rivolgevo all’estate in cui ‘mi sono annegata’. Dentro di me chiamavo ogni dolcezza struggente, ogni nostalgia con un mio ‘quando mi sono annegata’, ma non avrei saputo dire perché. Persa la emozione, restava un nome. Da grande, talvolta anche adesso, quando sempre più raramente incontro la magia di un amore, un richiamo più intenso o la voglia di fermarmi in un luogo, in un albero o in una confidenza, sento che è come ‘quando mi sono annegata’.

da L’ombra ripresa, Elia Malagò, Tre Lune Edizioni

 

dal 1 al 7 ottobre settimana dell’allattamento al seno

Dal 1 al 7 ottobre parte la settimana per l’allattamento al seno. Promossa per la prima volta a livello internazionale nel 1992, in oltre 120 Paesi l’’Unicef,e la World alliance for breastfeeding action e l’Organizzazione mondiale della sanità  si fanno promotori e sostenitori di questa iniziativa per ribadire l’importanza dell’allattamento al seno per la salute di madre e figlio e quindi il sostegno dell’allattamento diventa un diritto.

 

“mamma, tira fuori quella tetta!”

Per i primi due o tre anni ci si può aspettare che i piccoli chiedano di poppare ovunque ne sentano il desiderio, e spesso sono in grado di articolare il linguaggio molto prima di saper valutare l’effetto delle parole sugli altri.
Nella società industrializzata il seno è ancora un oggetto glorificato e nella mente di molti le sue funzioni nutritive sono d secondaria importanza. Nonostante la grande ostentazione di seni femminili che invadono i Media, le donne che allattano al seno vengono spinte a mantenere un contegno virginale. Incoerenze come questa mettono decisamente in difficoltà le madri che allattano, a meno che non riescono a mantenere una studiata indifferenza verso il loro ambiente sociale.Ma non tutte riescono ad essere indifferenti, e in ogni caso non sempre; e molto difficile far passare l’allattamento per una faccenda privata quando il tuo bambino urla in pubblico: “Tettaaaa!”.”Che carino”osserva la zia quando un bambino fa tale richiesta, “si ricorda ancora”. “Come potrebbe dimenticare?” pensa la madre fra sé “Sono passate solo quattro ore!”.
Può essere carino a casa, quando la piccola Lucia chiede “poppa” o “bumba sisa”. Pensa, però, come ti sentiresti a disagio se facesse la stessa richiesta con una pronuncia perfetta mentre siete al supermercato. E quale parola preferiresti sentire, se il tuo bambino carezzandoti la maglia annunaciasse a tutti: “La mamma ha le ciucce”? O ancora, se il tuo piccolo di tre anni dicesse: “Mamma, tira fuori quelle tette!”? Potrebbe fare un certo effetto la sua richiesta urlata sopra le note della marcia nuziale di tua cugina…

da Allatti ancora? allattare e accudire un bambino ai primi passi, Norma Jane Bumgarner, La Leche League International

 

associazione onlus vita di donna alla casa internazionale delle donne a Roma

se allatti a richiesta, hai più tempo libero:

 

Canto del mattino

L’amore ti ha messo in moto come un grosso orologio d’oro.
La levatrice ti ha schiaffeggiato sotto i piedi e il tuo nudo grido
ha preso il suo posto fra gli elementi.

Le nostre voci echeggiano, esaltando il tuo arrivo. Nuova
statua.
In un museo pieno di correnti, la tua nudità
è ombra sulla nostra sicurezza. Ti stiamo intorno vacui in
viso come pareti.

Non sono tua madre più di quanto
lo sia la nuvola che distilla uno specchio per riflettere la
propria lenta
cancellazione per mano del vento.

Per tutta la notte il tuo respiro di falena
tremola fra le piatte rose rosa. Veglio per ascoltare:
un mare lontano si muove nel mio orecchio.

Un grido, e scendo dal letto incespicando, pesante come
una mucca floreale
nella mia camicia da notte vittoriana.
La tua bocca si apre pulita come quella di un gatto. Il riquadro
della finestra

s’imbianca e inghiotte le sue opache stelle. E ora tu provi
la tua manciata di note;
le vocali chiare salgono come palloncini.

 

16 febbraio 1961

 

da Ariel, Sylvia Plath, Mondadori, trad.di Anna Ravano

 

il lupo e la bambina

 

Ed egli aveva paura che ella, con la sua borsa, cadesse a capofitto in quella folla, in quella polvere, che non si ritrovasse più, ed egli vi sarebbe accorso come su un mare che ha inghiottito un annegato, e avrebbe cercato di lei, e improvvisamente si sarebbe dimenticato come era fatta, ne avrebbe presa un’altra per errore, ed egli l’avrebbe creduta lei; poi forse l’avrebbe rasentata in altri luoghi e non l’avrebbe più riconosciuta, lei che gli era destinata.
Fu proprio lei che, dall’altra parte del fiume, levò il braccio per salutarlo. A lui parve che la riva dovesse partire, come sembra a chi sta a vedere su una nave che salpa, e che ella stesse là ad accennargli fino a che non fosse cancellata dalla lontananza. Anch’egli si mise ad agitare disperatamente le mani, e vedeva che ella rideva coi suoi denti bianchissimi, poi vide a pochi metri di distanza un ponte e si mise a correre per raggiungerlo, valicarlo, saltar davanti a lei. Ella si trovava ora sullo sbocco della strada popolata e si fermò esitante. L’uomo affrettò il passo, raggiunse il ponte, fu sull’angolo della strada. La donna era scomparsa. Aveva creduto che egli non l’avrebbe più raggiunta e che proseguisse per la sua strada senza badarle? Per un poco gli parve che ella si fermasse qua e là, a tutti gli angoli della vasta piazza affollata, che lo aspettasse alle fermate dei tram, che fosse sotto tutte le porte a guardare di ritrovarlo. Ora pensava di  non ricordarsi più della linea del fianco sotto l’impermeabile verde, e tutte le donne che incontrava gli pareva che avessero l’impermeabile verde. Gli era parso che quell’incontro fosse fatale, e non si poteva rassegnare che non avvenisse; e come chi si contenta con una piccola consolazione di una grande fortuna perduta, credeva che un’altra donna, che le somigliasse, gli sarebbe venuta incontro per errore, proprio tra quella folla che, ora che vi era passata lei, gli sembrava tutta della stessa famiglia. Invece lo guardavano come un ozioso che non avesse nulla da vedere con loro. Ora gli sembrava impossibile perfino seguitare a vivere. Rapidamente nella sua memoria si eclissava il volto di lei e non rimaneva che la pupilla grigia di quegli occhi. E l’impressione di una felicità rasentata e perduta, più bella forse della felicità raggiunta.

tratto da Avventure, del libro Viaggi attraverso le cose, Corrado Alvaro, Via del Vento Edizioni

dalla via purgativa all’unione

Così, in questo passaggio, patisce l’anima quanto all’intelletto grandi tenebre, quanto alla volontà grandi aridità e angustie, e nella memoria grave cognizione delle sue miserie, poiché nella visione che ha di sé l’occhio spirituale è chiarissimo

da Fiamma d’amore viva, San Giovanni della Croce, Se Studio Editoriale, a cura di Cesare Greppi

Augusto capì d’essersi perso, d’aver smarrito la strada. La sua vera tragedia, cominciava a capire, stava nel fatto d’essere incapace di comunicare agli altri quella scoperta: che esisteva un altro mondo, un mondo al di là dell’ignoranza, al di là del caduco, al di là del pianto e del riso. Era quello l’ostacolo che lo costringeva a rinchiudersi nella maschera del clown: giullare di Dio, magari, perché nessuno al mondo avrebbe saputo sciogliere il suo dilemma.

E a questo punto gli fu chiaro – oh, com’era semplice!- che nessuno, nessuno, neanche il mondo intero, avrebbe potuto impedirgli d’esser se stesso. Se davvero era un clown, allora doveva esserlo fino in fondo, da quando apriva gli occhi al mattino, fino a sera, quando li richiudeva. In stagione e fuori stagione, a pagamento o per il semplice piacere. Ora sì che era incrollabilmente sicuro della verità di questa idea: e ardeva dal desiderio di cominciare subito…senza cerone, senza trucco, senza costume, senza neppure l’accompagnamento di quel vecchio violino stridulo…Essere così totalmente se stesso che si sarebbe vista solo la verità, che ora gli bruciava dentro come un fuoco.

Richiuse gli occhi, ricadde nelle tenebre. Rimase così, a lungo, respirando piano e quietamente al capezzale di se stesso. E quando alfine riaprì gli occhi, vide un mondo dal quale il velo era stato strappato via. Un mondo esistito da sempre nel suo cuore, sempre sul punto di manifestarsi, ma che solo nell’attimo in cui il cuore batte finalmente all’unisono, comincia a pulsare di vita.

Augusto ne fu così commosso da non credere ai propri occhi. Se li sfregò col dorso della mano, ma soltanto per sentirseli ancora umidi delle lagrime di gioia che inavvertitamente gli erano sgorgate. Stette diritto, impettito sulla panchina, con gli occhi sbarrati, fissi davanti a sé, sforzandosi di adattare la visione alla visione. Dal profondo di se stesso saliva incessante un mormorio di ringraziamento.

Quando il sole soffuse la terra dell’ultima febbre dorata, egli s’alzò dalla panchina. Forza e desio gli correvano per le vene. Rinasceva, moveva i primi passi nel magico mondo della luce. D’istinto, proprio come gli uccelli spiegano le ali, egli spalancò le braccia nel gesto di abbracciare tutto il creato.

La terra svaniva lentamente nel rosso scuro che annuncia e precede il crepuscolo. Augusto camminava barcollando, estasiato.

“Finalmente! Finalmente!” urlò, ma in realtà il suo grido era solo un pallido riverbero dell’immensa gioia che lo sconvolgeva.

 

da Il sorriso ai piedi della scala, Henry Miller, Feltrinelli, trad.di Valerio Riva

gioco della dispersione

 

 

Tommaso Landolfi

Carlo Emilio Gadda

Achille

Carmelo Bene

Danilo Dolci

il silenzio di Dio in Dostoevskij e D’Arzo di Silvio Castiglioni

Jean Cocteau

La Coquille et le Clergyman di Antonin Artaud parte 1 , parte 2 e parte 3