Category Archives: finzione suprema

Il barbaro verde in blu

In cosa crederò? Se l’angelo dalla sua nube,
Mentre sereno fissa l’abisso violento, tocca
Le corde e gli strappa la gloria abissale,

Si slancia quaggiù tra le rivelazioni della sera,
E ad ali spiegate, solo lo spazio profondo gli manca,
Dimentico del centro d’oro, del destino dorato,

S’infiamma nel moto immoto del suo volo,
Sono io che immagino l’angelo insoddisfatto?
Sono sue le ali, l’aria di lapislazzulo?

E’ lui o sono io che sento così?
Sono io che dico e ripeto che c’è un’ora
Di grazia dicibile, in cui di nulla ho bisogno,

Nessun desiderio, sono felice, e scordo la mano dorata
Del bisogno, soddisfatto senza maestà che consoli,
E se c’è un’ora così, ci sarà un giorno,

Ci sarà un mese, un anno, un tempo
Quando la maestà è uno specchio dell’io:
Io non ho, ma sono, e poiché sono, io sono.

Queste regioni esterne come le riempiremo,
Se non di riflessioni, evasioni della morte,
Cenerentola che s’appaga al riparo del tetto?

da Note verso la finzione suprema – Deve dare piacere, VIII, Wallace Stevens, Arsenale Editrice, trad. di Nadia Fusini

Appunti per CAPSULA PETRI n. 18

Della poesia moderna

Il poema della mente nell’atto di trovare
ciò che sarà sufficiente. Non ha sempre dovuto
trovare: la scena era prestabilita; ripeteva
quel che c’era sul copione.
Poi il teatro si mutò
in altro. Il suo passato rimase un ricordo.

Deve essere viva, imparare la lingua del luogo.
Deve affrontare gli uomini del tempo e incontrare
le donne del tempo. Deve pensare alla guerra
e deve trovare ciò che sarà sufficiente. Deve
costruire una nuova scena. Deve stare su questa scena
e, come attore insaziabile, lentamente e
meditatamente pronunciare parole che all’orecchio,
all’orecchio più delicato della mente, ripetono,
esattamente, ciò che esso vuole sentire, e al suono
di questo un pubblico invisibile ascolta,
non la commedia, ma se stesso, espresso
in un’emozione come di due persone, come di due
emozioni che diventano una. L’attore è
un metafisico nel buio, che pizzica
uno strumento, una corda metallica i cui suoni
passano per subitanee esattezze, interamente
contenenti la mente, sotto cui essa non può scendere,
oltre cui essa non desidera salire.
Deve
essere un trovare soddisfazione, e può essere
di un uomo che pattina, una donna che danza, una donna
che si pettina. Il poema dell’atto della mente.

da Parti di un mondo – Poesie, Wallace Stevens, Mondadori, Meridiani, trad. di Massimo Bacigalupo

Louis-Auguste Blanqui

Sistema cellulare (1)

Malaticcio, piccolo, avvizzito, di gracile costituzione; a quarant’anni già vecchio. Un mistagogo. Non tollera obiezioni. Sempre disposto a illudersi, sempre pronto a illudere..
Legge molto, trascorre la vita in un susseguirsi di sistemi cellulari. (Doppiosenso di questo aggettivo). Lettura prediletta: Il Principe.
Avvezzo alla solitudine, serba accuratamente le distanze: Io non venero il coccodrillo (Il coccodrillo sono le masse).
Si definisce fatalista, il che non vuol poi dire molto. L’uno si custodisce fatalisticamente il letto, l’altro si getta fatalisticamente nella mischia. Costui si lancia, finché vive, s’impadronisce dell’intero pianeta. Spiegazioni di tale comportamento non ve ne sono.

Un’ipotesi astronomica (1)

Se dunque l’universo è infinito, ciò significa anche, che giorno per giorno, la natura riproduce miliardi di sistemi solari, i quali altro non sono se calchi servili del nostro.
Non vi è sasso, né albero, né bestia, né essere umano, né evento che in quel lontano duplicato non abbia già il suo posto.

Sistema cellulare (2)

Ogni volta che, dopo un’annosa pioggia, abbandona la galera e appare ai suoi seguaci, le guancie emaciate, le labbra esangui, semi putrefatto, con un mantello nero e guanti neri che non depone mai: melodrammatico, il Capo, il re-sacerdote della rivoluzione- ogni volta impallidisce allora al suo cospetto l’Ordine.
Egli ne è il prodotto della paura: l’incarnazione del terrorismo e l’individuo più dabbene del mondo.
La Parigi sotterranea è una Babele di sette, confraternite e club. Riti d’iniziazione: la fascia sugli occhi, il giuramento mormorato, il pugnale sfavillante in mano. (Gli orpelli della cospirazione fanno parte dell’eredità massonica).
Nella Società delle Stagioni, in testa alla settimana è la domenica, in testa alla primavera è marzo e la primavera conduce l’anno. Lassù in cima, in capo a tutto, siede abbagliante il comitato centrale.

Un’ipotesi astronomica (2)

Se dunque la vera terra possiede nell’universo schiere di sosia, lo stesso vale ovviamente per tutte le sue strabilianti varianti.
Ogni attimo reca infatti con sé nuove diramazioni, deviazioni, alternative. Qualunque sia la nostra scelta, noi non sfuggiamo al nostro fato. Eppure, nel complesso dell’universo, la fatalità non può far leva, perché l’infinito non esige alternative ed ha posto per ogni cosa.

Sistema cellulare (3)

Il mio programma? Non so come sarà. (La richiesta di aumenti salariali non gli dice nulla). Chi ha ferro, ha pane. (Ama l’ordine). Allo stato compete il potere assoluto, la conduzione d’ogni cosa. (La talpa scava, mina, perfora; ma nondimeno, tutto ciò di cui determinerà il crollo, risorgerà più splendido che mai). Gli occulti fermenti, che sollevano in segreto le masse, l’invisibile esercito del progresso, sono i declassati.
(Ecco, ora parla molto paternamente). Le masse devono essere destate dal loro sonno di morte alla vita.
Dai suoi ufficiali esige: disponibilità al sacrificio, assoluto silenzio, incondizionata obbedienza; in cambio offre loro: povertà, pericolo, persecuzioni, e inoltre una catena d’inesorabili sconfitte.

Un’ipotesi astronomica (3)

Di conseguenza esistono altri miliardi di pianeti ove l’uomo percorre sentieri che qui disdegna o trascura; e questo accade per ciascuno di noi, per ogni singolo istante, per qualunque possibile diramazione, per tutte le alternative esistenti. Noi tutti abbiamo dunque innumerevoli sosia, varianti di noi stessi, e tutto ciò che qui avremmo potuto essere o diventare, lo stiamo realmente, altrove, su diversi, lontani pianeti.

Sistema cellulare (4)

L’insurrezione fa progressi, ma anche la polizia: la moucharderie va diventando più raffinata, gli schedari si ingrossano, i fondi segreti rigurgitano, la provocazione si evolve ad arte suprema. Nei circoli della bohème già rode il verme: ovunque scissioni, intrighi, tradimenti. Finanche nella cella ogni cosa è sospetta. Il recluso lava ogni fava, ogni fagiolo, prima di mangiarli. Quotidianamente si chiede perché non lo avvelenano. (Risposta: il governo non sa fare i propri affari).
D’altro canto, lavoro da stratega, expertise militare, macchine distruttrici dai magici effetti. Il Capo, chino sui suoi calcoli – sono eccessivamente antiquati, o sono invece prematuri? Il putsch d’ottobre a Pietroburgo non avrà occasione di vederlo. (Allo stato il potere assoluto). Tutti i suoi scolari escluso Mussolini, lo rinnegano.

Un’ipotesi astronomica (4)

La vita del nostro pianeta, dalla nascita alla morte, si ripete, giorno per giorno, con tutta la sua infelicità, tutti i suoi crimini, su miriadi di astri fratelli. Ciò che noi chiamiamo progresso, sorge e scompare, come rinchiuso in gabbia, entro ciascuno di questi innumeri mondi. Sempre e dappertutto lo stesso dramma, davanti allo stesso scenario, sullo stesso esiguo palcoscenico: un’umanità rumorosa che nella sua prigione vive, come fosse in uno sconfinato universo, per poi immantinente sprofondare insieme alla stella che lo sorregge. Quale monotonia! L’universo segna il passo.

Sistema cellulare (5)

Mentre massacrano i comunardi, il prigioniero è chiuso a Fort Tareau, una rupe nel mare. Non si pronuncia. osserva il cielo, un cimitero di comete. Dopodiché si siede, nei suoi abiti neri, al suo tavolo, nella sua cella, prende la penna, e scrive: L’Eternità attraverso gli astri, ovvero

Un’ipotesi astronomica (5)

Ciò che in questo istante io scrivo, in una cella di Fort Tareau, lo scrissi in miliardi di altri mondi e colà lo scriverò per tutta l’eternità, su un tavolo, con una penna e con degli abiti, perfettamente identici ai miei.

da Mausoleum. Trentasette ballate tratte dalla storia del progresso, Hans Magnus Enzensberger, Einaudi

Appunti per CAPSULA PETRI n. 13

Alcune delle ventuno tesi di Victor I. Stoichita sulla rappresentazione delle visioni:

– Raffigurare pittoricamente un atto visionario significa mettere in scena un personaggio privilegiato (generalmente “un Santo”) nel momento di un’azione privilegiata (l’estasi visionaria);

– Il quadro di visione assume le caratteristiche di documento visivo (di testimonianza) riguardante un’azione per sua natura inverificabile;

– Lo spettatore di un quadro di visione ha funzione di testimone dell’atto visionario comprovante la “realtà visibile” dell’apparizione; benché né il visionario stesso né il testimone che assiste alle sue estasi possa completamente affermare o negare la “realtà” della visione;

– Si chiede allo spettatore del quadro di visione di assumere un ruolo: quello di “colui che guarda colui che vede”;

– Il quadro di visione è un oggetto meta-figurativo: è un’immagine il cui soggetto è un’esperienza di immagine;

– Il quadro di visione è un oggetto di intermediazione. E’ il “filtro” mediante il quale la trascendenza si manifesta allo spettatore;

– Il quadro di visione è un quadro doppio: rappresenta l’irruzione dell’irrealtà nella realtà;

– Il registro superiore del quadro di visione è sottoposto alla stilistica dell’incertezza e dello sfumato;

– L’oggetto figurativo emblematico della rappresentazione della ierofania è la nuvola;

– L’estasi visionaria è un’esperienza di immagine che impegna il corpo di colui che vede;

da Cieli in cornice, V.I. Stoichita, Meltemi

 

appunti per CAPSULA PETRI n.3

Quando Dante si congeda da Virgilio, non si congeda dalla Ragione ma dal pathos di una data luce naturale. Dante non abbandona Virgilio per cercare la grazia ma per trovare una voce con un’impronta propria. Nelle più antiche e autentiche allegorie dei poeti, Virgilio rappresenta la paternità poetica, lo stadio dell’iniziazione che Dante deve trascendere se vuole completare il suo viaggio verso Beatrice.
Beatrice è il più difficile fra i tropo di Dante perché la sublimazione non appare più come una possibilità umana.

(…)

Direi che oggi è così difficile capire Beatrice precisamente perché partecipa sia dell’allegoria dei poeti che di quella dei teologi. Poiché il suo avvento segue la maturazione poetica di Dante, o la scomparsa di Virgilio, suo precursore, Beatrice è un’allegoria della Musa, la cui funzione è di aiutare il poeta a ricordare. La memoria, in poesia, è sempre la via maestra della cognizione, e quindi Beatrice è il potere inventivo di Dante, l’essenza della sua arte. Essendo già la più altolocata delle Muse, Beatrice è anche molto al di sopra di loro perché ha lo statuto di un mito eretico, di una santa canonizzata da Dante o persino di un angelo da lui creato.

(…)

e la figura di Beatrice sarebbe eresia e non mito se Dante non fosse stato un poeta così forte che la chiesa dei secoli seguenti è stata felice di annetterselo.

(…)

intuizione di Curtius, che vede nella Beatrice di Dante la figura centrale di una gnosi puramente personale. Dante era un visionario senza scrupoli, appassionatamente ambizioso e disperatamente testardo: il suo poema esprime in modo trionfante la sua eccezionale personalità.

da Rovinare le sacre verità. Poesia fede dalla Bibbia a oggi, Harold Bloom, Garzanti

 

La cura?

Il cimento nell’arte o

ghirigori d’oro

Come Shelley e Whitman, (Wallace Stevens) era un poeta lucreziano e celebrava un cosmo incentrato sull’inevitabilità dell’entropia e della morte. Sebbene questa sembri una concezione poco gioiosa, in Stevens vi è una gioia epicurea accompagnata da un’esuberanza linguistica simile a quella delle shakespeariane Pene d’amor perdute.
Alla mia veneranda età, mi lascio commuovere soprattutto dall’elegante semplicità di Stevens, che ci fornisce la più convincente difesa contemporanea della poesia:

Da questo nasce la poesia: che viviamo
in un luogo non nostro, e che non siamo noi,
ed è arduo, ad onta dei giorni d’orifiamma.

da Il genio. Il senso dell’eccellenza attraverso le vite di cento individui non comuni, Harold Bloom, Rizzoli