Category Archives: finzione suprema

Mi ricordo

Estendendo la teoria della ricapitolazione di Ernst Haeckel alla memoria e all’autocoscienza, mi consolo nell’immaginare che ciascun individuo e l’universo a cui esso appartiene, stiano fra loro nel più intimo rapporto causale.

I heard a Fly buzz – when I died

I heard a Fly Buzz – when I died-
The Stillness in the Room
Was like the Stillness in the Air –
Between the Heaves of Storm-

The Eyes around – had wrung them dry
And Breaths were gathering firm
For the last Onset – when the King
Be witnessed – in the Room –

But the King isn’t you – empty
Relic, flashy Doom –
You owe me Your Bloom-
Stingy Frolic – I owe you
One joyFOOL Noon.

Emily Dickinson (vv.1-8) strapazzata da Carmela Moscatiello (vv.9-13)

 

Appunti per Vederci chiaro

Ci esprimiamo molto meglio con i testi degli altri, nei confronti dei quali abbiamo più libertà di scelta, di quanta non ne abbiamo con i nostri, che ti sfuggono come se lo facessero apposta a beneficio di Dio o del diavolo.

da L’Homme et sa liberté: jeu pour la veillée,  Chris Marker, Seuil, 1949

e poi ogni sera saremmo stati accanto alla lampada…

Con una mano stringevo Francin mentre con l’altra gli carezzavo la nuca, lui teneva gli occhi chiusi e respirava profondamente, quando poi si era calmato mi stringeva alla vita, per cui sembrava stessimo lì lì per iniziare un gran ballo, e invece era qualcosa di più, era un bagno purificante durante il quale Francin mi sussurrava all’orecchio tutto ciò che gli era accaduto quel giorno, e io lo accarezzavo, e ogni movimento della mano gli appianava le rughe, e poi era lui ad accarezzarmi i capelli sciolti

(…)

E ricacciata via dal viso di Francin l’ultima ruga da qualche parte tra i capelli o dietro le orecchie, lui riapriva gli occhi, si raddrizzava, i polsini erano nuovamente all’altezza dei fianchi, mi guardava sfiduciato e, quando sorridevo annuendo, sorrideva anche lui, abbassava più gli occhi e si sedeva al tavolo, si era dato coraggio e mi guardava, e io facevo lo stesso, e vedevo il grande potere che avevo su di lui (…)

da La tonsura, Bohumil Hrabal, Edizioni e/o, Collana Praghese, 1987, a cura di Giuseppe Dierna, con Collages di Giuseppe Dierna

Per questo la presenza del cristiano è insopportabile

(…) scrive l’apostolo (Paolo): “d’ora innanzi, quelli che hanno moglie, vivano come se non l’avessero; quelli che piangono, come se non piangessero e quelli che gioiscono, come se non gioissero; quelli che comprano, come se non possedessero; quelli che usano del mondo, come se non ne usassero.” (…) L’azione apostolica di Paolo – il suo infaticabile vagare, predicare, istruire e correggere, il suo stesso battersi a difesa del proprio apostolato – non è dettata da uno scopo esterno, poiché nel tempo della fine nulla evidentemente permane di ciò che per propria volontà si costruisce. Ciò che egli fa, lo fa, pur scontando tutte le umane debolezze, in obbligo verso la propria vocazione. Per questo e solo per questo può egli può rivendicare senz’altro titolo di apostolo; e in effetti tale è ogni cristiano che si sente in obbligo verso la propria vocazione, alla quale non può sottrarsi “a dispetto di tutto il mondo”, come dice Don Chisciotte.

Passa, dunque, la scena di questo mondo; infatti esso declina per lasciar posto al Regno prossimo di Dio, ma non ancora sparisce, semmai si fa più incombente e tragico. Cosicché il cristiano sta sul palcoscenico del mondo pur sapendo che ciò che vi è rappresentato sparisce continuamente nel nulla, perché è nulla. Per questo, per questa sua coscienza nichilistica, la presenza del cristiano è insopportabile; perché nega significato alla radicale volontà di esserci e dunque nega la volontà di potenza, ma allo stesso tempo patisce in se stesso la passione del mondo. Egli non si sottrae all’aspirazione del mondo alla felicità, perché il Regno non è “altro” da questo mondo; e perciò egli vuole e si adopera per la felicità nell’ordine profano che continuamente trapassa, ma sa che nella felicità non è possibile permanere, poiché essa stessa aspira a trapassare. È il punto in cui il cuore si spezza; nella felicità estrema come nell’estremo dolore.

Da Passa la scena di questo mondo, in Le cose come sono. Etica, politica, religione di Giancarlo Gaeta, Libri Scheiwiller

Rapporto tra letteratura, realtà e surrealtà

“Il 15 maggio 1796 il generale Bonaparte entrò a Milano a capo di quella giovane armata che aveva varcato allora il ponte di Lodi e apprese al mondo che dopo tanti secoli Cesare e Alessandro avevano un successore…”. Così comincia La Certosa di Parma di Stendhal.

“Svegliandosi una mattina Gregor Sansa i accorse di essere mutato in un insetto mostruoso…”. Così comincia La metamorfosi di Kafka.

Non c’è che dire, mettendo a confronto i due incipit appare lampante che essi contengono, l’uno il massimo, l’altro il minimo di attendibilità. Il fatto è però che in entrambi i casi la soggezione del lettore è totale, in virtù di una stipula silenziosa fra lui e lo scrittore, secondo la quale vero e falso sono le facce di un’erma bifronte a cui tutti ci inginocchiamo.

Così, nel momento in cui entra in Milano, Napoleone cessa di essere una persona storica per diventare favoloso al pari di un ippogrifo, mentre Gregor Samsa appare altrettanto plausibile quanto un esemplare appuntato con uno spillo nella vetrina di un entomologo.

da Essere o riessere, conversazioni con Gesualdo Bufalino a cura di Paola Gaglianone e Luciano Tas, òmicron, collana Il Libro che non c’è, 1996

dedicato a Yui Kimi e alla mangiatrice di sapone

Se la colpa è degli uomini allora che Iddio venga

Se la colpa è degli uomini allora che Iddio venga
a chiamarmi fuori dalle sue mura di grossolana cinta
verdastra come l’alfabeto che non trovo. Se il muro
è una triste storia di congiunzioni fallite, allora
ch’io insegua le lepri digiune della mia tirannia
e sappia digiunare finché non è venuta la gran gloria.
Se l’inferno è una cosa vorace io temo allora d’essere
fra quelli che portano le fiamme in bocca e non
si nutrono d’aria! Ma il vento veloce che spazia
al di là dei confini sa coronare i miei sogni anche
di albe felici.

da Variazioni belliche, Amelia Rosselli, Garzanti, 1964

***

In effetti nell’interrompere il verso anche lungo ad una qualsiasi terminazione di frase o ad una qualsiasi sconnessa parola, io isolavo la frase, rendendola significativa e forte, e isolavo la parola, rendendole la sua idealità, ma scindevo il mio corso di pensiero in strati ineguali e in significati sconnessi. L’idea non era più nel poema intero…ma si straziava in scalinate lente, e rintracciabile era soltanto in fine, o da nessuna parte.

da Spazi metrici

***

Interrompevo il poema quando era esaurita la forza psichica e la significatività che mi spingeva a scrivere; cioè l’idea o l’esperienza o il ricordo o la fantasia che smuovevano il senso e lo spazio.

da Spazi metrici

Sull’amore o sul corpo d’amore

Gesù,

forse è per paura delle tue immonde spine

ch’io non ti credo,

per quel dorso chino sotto la croce

ch’io non voglio imitarti.

Forse, come fece San Pietro,

io ti rinnego per paura del pianto.

Però io ti percorro ad ogni ora

e sono lì in un angolo di strada

e aspetto che tu passi.

E ho un fazzoletto, amore,

che nessuno ha mai toccato,

per tergerti la faccia.

da Corpo d’amore in Mistica d’amore, Alda Merini, Frassinelli