Category Archives: esitazione

Il cane

Là in alto, l’immagine d’un mondo
di sguardi si rinnova e si convalida.
Solo talvolta viene e gli si mette accanto,
di nascosto, una cosa, quando egli attraverso

questa immagine, in basso, tenta di aprirsi un varco,
così com’è, diverso; non respinto né accolto
e come in dubbio la sua realtà cedendo
all’immagine che dimentica per

tornare tuttavia ogni volta a immergervi
il suo occhio, quasi implorando, quasi
comprendendo, vicino ad un accordo;
ma rinuncia: altrimenti non sarebbe.

Rainer Maria Rilke, da Poesie, Einaudi. a cura di Andreina Lavagetto

A Pamina e a me

da Ur

Quando mi alzavo presto la mattina,
mi volgevo a mia madre e le dicevo:
“Dammi la colazione, devo andare a scuola!”
Mia madre mi dava due focacce e io uscivo;
mia madre mi dava due focacce e io andavo a scuola.
A scuola l’incaricato della puntualità diceva:
“Perché sei in ritardo?”
Io ero impaurita e il cuore mi batteva,
entravo davanti al mio maestro e facevo l’inchino.
Il mio direttore leggeva la mia tavoletta, diceva:
“Ci manca qualcosa”, mi bastonava.
L’incaricato del silenzio diceva:
“Perché parlavi senza permesso?”, mi bastonava.
L’incaricato della condotta diceva:
“Perché ti sei alzata senza permesso?”, mi bastonava.
L’incaricato della frusta diceva:
“Perché hai preso questo senza permesso?”, mi bastonava.
L’incaricato di sumerico diceva:
“Perché non hai parlato sumerico?”, mi bastonava.
Il mio maestro diceva:
“La tua mano non è buona”, mi bastonava.

Giornata di una figlia della scuola descritta in una tavoletta cuneiforme (III millennio a.C.)

Dus(seldorf)k

Warm of the day fades from my skin
I feel the air clasping me tight
A moon of fire singes my skin
With rust red rim burns the eye

The cold of day filling my lungs
In this airless time numbing me blind
A moon of ice cuts into me
With fire light a flaming night

A murmuring blue soft to the touch
Suffocating me like tattered wings
Gossamer damp rests on my flesh
Like moist hands saying still be still

I’m empty inside
The dusk unwinds
Ice fills my lungs
I feel unknown unknown

A shimmering blue
It’s rough to the touch
And it smothers me with tattered wings

And now I’m empty inside
The dusk will unwind
Ice fills my lungs
I feel unknown

And now I’m empty inside
The dusk will unwind
Ice fills my lungs
I feel unknown unknown

I’m invisible I’m inaudible I’m replaceable I’m unknown I’m unknown

And I’m empty inside
The dusk unwinds
I feel I feel unknown

Dusk, Planet Funk

 

Le ciel est triste et beau, Genni, scultura in bronzo (1935)

Ogni conoscenza è adela

Il punto della distinzione, il punto estremo del bordo al di là del quale l’oggetto svanisce, è dimostrabilmente inaccessibile. Esso esiste solo in talune matematiche della tradizione. Il più liscio dei solidi presenta delle granulosità, non potrete mai levigare esattamente una lente d’occhiale con quel movimento aleatorio della mano che tenta di recuperare la distribuzione stocastica delle asperità. Nel più piccolo locale (1), inoltre, il suo limite vibra, con una fluttuazione particolare. Il bordo è immerso nel rumore, nel suo proprio rumore, e la distinzione sarebbe un compito infinito. Il teorema di Brillouin rende il cartesianesimo improbabile e miracoloso: esso sta tutto intero nel miracolo greco, quello della geometria. Gli oggetti hanno bordi fluttuanti, compresi i solidi, tutti immersi nelle loro frange, come in multiple aureole spezzate. Ogni cosa del mondo è nube, nel suo genere, è turbine e luccichìo. Un organismo, ad esempio, è un insieme aperto ed è, più di un’arte, un sapere quello di disegnarlo con limiti indistinti e fluenti. Così l’evidenza non è cosa di quaggiù, così essa richiede una detrazione infinita. Quale concetto volete che essa riempia?
Ogni conoscenza è adela (2).

da Passaggio a Nord-Ovest. (Hermes V), Michel Serres, Pratiche Editrice, a cura di Mario Porro

(1): locale in contrapposizione a globale (termini più esatti di interno rispetto a esterno, che cadrebbero nella trappola dello spazio): per saperne di più e meglio dei due termini, e degli spazi localmente euclidei che non lo sono globalmente, leggere alle pp. 90 e 91 del libro di Serres.
(2):  dal termine greco adelos, non-manifesto, non-evidente.

Sereni esile mito
filo di fedeltà
non sempre giovinezza è verità
un’altra gioventù giunge con gli anni
c’è un seguito alla tua perplessa musica…
Chiedi perdono alle ‘schiere dei bruti’
se vuoi uscirne. Lascia il giuoco stanco
e sanguinoso, di modestia e orgoglio.
Rischia l’anima. Strappalo, quel foglio
bianco che tieni in mano.

1954

da L’ospite ingrato, Franco Fortini, De Donato Editore

Le storie, i sentimenti, i personaggi, la descrizione: riuscire a renderli totale provvisorietà; levare a ogni frase la terra sotto i piedi, levarle il fondamento, col gesto stesso con cui ci sforziamo di affidarla alla stabilità. Ogni racconto ci appare oggi simultaneamente del tutto  fondato e al tempo stesso del tutto infondato. Questo secolo ci ha educato alla memoria di entrambe tali condizioni. Questo continuo e duplice carattere di fondatezza e infondatezza della narrazione è una dimensione di probabilità. È ciò che risuona oggi nel limite estremo della scrittura: un movimento sotterraneo ed essenziale di probabilità e improbabilità continue. Ha a che fare, forse, proprio con l’ombra, con la quantità di ombra che il linguaggio porta con sé, che ogni parola porta con sé nel suo medesimo far luce, dunque dell’ombra che ciascuno di noi riesce a trattenere, a conservare e a far «parlare» all’interno della continua e probabile, puramente probabile luce delle parole.

da In questa luce, Daniele Del Giudice, Einaudi

un collage primaverile, le porte restano aperte

(se lo scambio non è impari) no, impari non è: questo mi manca, l’altro lo avevo – non ci credo, no, non ci credo – non esistono più i tossici – (potrebbe pensare che, come a Camogli, arriverà da lassù una pentola di olio bollente e invece io vivo) a chilometri da qui – un libro di fantascienza! – (Cristo, ho dimenticato di mettere sulla chiavetta il film di Chris Marker!) – buona primavera.

l’incertezza è pane del suo disegno

Il problema storico se Ugolino della Gherardesca abbia esercitato nei primi giorni di febbraio 1289 il cannibalismo è, evidentemente, insolubile. Il problema estetico o letterario è di tutt’altra natura. Lo si può enunciare così: Dante ha voluto che pensassimo che Ugolino (l’Ugolino del suo Inferno, non quello storico) abbia mangiato la carne dei suoi figli? Arrischierei questa risposta: Dante ha voluto che lo sospettassimo. L’incertezza è pane del suo disegno.

da Nove saggi danteschi, Jorge Luis Borges, Adelphi, a cura di Tommaso Scarano