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Per formare il perfetto androgino, simbolo  generatore di felicità, l’uomo, che la divinità ha lasciato insoddisfatto, dovrà per prima cosa riportare il proprio sguardo dal cielo sulla terra e qui mettersi alla ricerca dell’essere che ne permetta la ricostituzione. Svanito il miraggio celeste, egli persevererà nel suo proposito e, come era unica la divinità, così sarà un essere unico, ma di carne, che egli divinizzerà.
“Se l’essere umano è per l’uomo l’essere supremo, la prima e più alta legge pratica deve essere l’amore dell’uomo per l’uomo”(L. Feuerbach, L’essenza del crisitianesimo). Una volta presa coscienza della sua imperfezione, non cercherà più di porvi rimedio adoperandosi a imitare un modello divino da lui stesso creato, bensì richiedendo alla terra quell’essere la cui imperfezione, compensando la propria, permetta la costituzione di un essere doppio, perfetto, singolare, che formi un’unità di umana felicità.

(…)

Il colpo di fulmine, per quanto l’espressione possa essere divenuta popolare – oggigiorno almeno in parte screditata – precisa con chiarezza la natura accecante del fenomeno di riconoscimento dell’essere desiderato, la cui complementarietà è stata d’improvviso intravista. Un incedere da fata, un battito di ciglia, è bastato talmente poco in apparenza perché il fulmine cadesse, squarciando il velo che ricopriva l’immagine all’interno; e l’evidenza si è imposta. Non solo il colpo di fulmine “non è sempre cosciente”, come sostiene il dottor Balvet, ma non può nemmeno esserlo nel momento in cui nasce, il soggetto ne prenderà coscienza solo con un certo ritardo. Stendhal aveva già a suo tempo rivelato l’essenziale del meccanismo del colpo di fulmine e dimostrato che esso dissimulava il fenomeno di riconoscimento istantaneo di un “modello ideale” che il soggetto aveva elaborato a propria insaputa o quasi. L'”ideale” del modello non in altro consiste se non nella sua presupposta complementarietà. L’esempio stendhaliano implica dei particolari che lo fanno presentire, sebbene la sua discrezione dei due caratteri resti troppo sommaria perché possano assumere tutto il loro pieno significato: una giovane e ricca principessa tedesca, bella, intelligente e dalle virtù modeste ma incrollabile, s’innamora alla prima occhiata di un ufficiale della guardia di palazzo, povero, baldanzoso, con una punta di nobiltà, e “che faceva il mantenuto”.
Se il soggetto, sotto l’impulso di una imperiosa aspirazione all’essere complementare, è venuto elaborando una immagine che risponde al suo desiderio, questa si è come costituita da sola, senza quasi il minimo intervento della coscienza nel corso del processo di formazione. Per buona parte risultato delle fantasie infantili, essa avrà certo preso consistenza nella fase della pubertà, allorché l’adolescente è in preda a molteplici quanto contraddittori impulsi. L’immagine che si viene formando in tali condizioni riceve i suoi tratti sia dall’infanzia – quando la madre funge ad un tempo da modello e da spauracchio – che dalle circostanze della vita quotidiana dell’adolescente. Questi tratti fanno per primi la loro comparsa nella camera oscura, sul negativo, senonché in tal caso lo sviluppatore è la vita stessa la quale, troppo poco provata, non lascerà che un’immagine grigia o allora, troppo intensa, “mangerà” l’immagine.

da La cometa del desiderio. Una storia d’amore attraverso la poesia, Benjamin Peret, Arcana Editrice.

a eloisa

foto di Ilaria Bartocci

Gridi acuti di donne accarezzate,
I denti, gli occhi, le ciglia bagnate,
Il vago seno che scherza col fuoco,
Il sangue che arde in labbra che s’arrendono,
Le dita, i doni estremi che difendono,
Tutto sotterra va, torna nel giuoco!

da Il cimitero marino, Paul Valéry, Einaudi, trad.di Mario Tutino

Jiri Trnka

E nient’altro mai- lo sa Dio- cercai in te fuorché te: e a te puramente anelai, non ai redditi. Non mi ripromisi nuziali patti, né prerogative di sorta: né, come ben vedesti, m’adoperai a raggiungere voluttà mie, ma tue. E se più santo e più valido appare il nome di moglie, più dolce a me fu sempre la designazione di amica, e magari quella – se non te ne sdegni- di concubina o di ganza: sicché, quanto più umiliata mi fossi per te, tanto maggior tenerezza da te ne avessi, e tanto meno offuscassi la gloria della superiorità tua.
(…)
Ne chiamo Dio in testimonio: se un Augusto governasse il mondo intero – proponentemi gli onori del talamo- mi apparirebbe più gradito e più degno l’esser detta meretrice di Te ché imperatrice di lui.

Eloisa ad Abelardo, trad.italiana di Ercole Quadrelli, Formiggini-Roma 1927