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L’invidia

L’invidia, unico vizio che non implica piacere, è tristezza del mondo, ed è forse l’unico vizio non confessabile, tende a raffigurarsi esistenze altrui come felici, dunque invidiabili, e a considerarle perciò minacciose, capaci cioè di diminuire il nostro essere. Il che è, a ben vedere, irrealistico e del tutto immaginario, poiché ogni esistenza ha verosimilmente la sua quota di infelicità, o di male, e non ha senso confrontarla con la propria, per poi sentirsi sventurati. Si tratta di un vizio, o passione che si nutre di immaginario, “e dato che l’immaginazione è virtualmente infinita, non ha bisogno di elementi o conferme esterne per svilupparsi e crescere”. L’invidia orienta la nostra attenzione su ciò che non abbiamo (… un tema di molte fiabe), su quello che ci manca, su quello che non c’è, sull’irrealtà. Inoltre, l’invidioso considera l’altro come un ostacolo, da eliminare o da superare, e così distrugge ogni relazione.

da Il bene e gli altri. Dante e un’etica per il nuovo millennio, Filippo La Porta, Bompiani

L’uomo leale vive quanto glielo consente il traditore

Succede, può succedere, che fin dall’infanzia taluni individui siano allevati nell’accondiscendenza a tutti quegli istinti cui ben si addice l’epiteto di bassi, visto che, a quanto sembra, nel mondo morale esiste una specie di pesantezza che trascina verso di essi l’animo di chi non sta in guardia. E’ necessario irrigidirsi e ostinarsi continuamente per compensarla. Colui che non si sforza più soccombe subito, e gli basta osare per diventare arido, astuto, ingrato, violento e feroce.

(…)

Temo che a tali uomini venga a mancare l’immaginazione per concepire un diverso modo di agire.

(…)

Sicuri di obbedire all’ordine che regge l’universo, e riscontrando nella maggior parte delle persone sconcertate dai loro princìpi solo il rimpianto di essere troppo timide per adottarle, quale autorità mai, quale ascendente, quale esempio, potrà un giorno convertirli? Ci vorrebbe un miracolo.

(…)

Tra vincitore e vinto non è la virtù che chiude il discorso, ma giustamente la violenza, così che non necessariamente il trionfo ricompensa il più degno. In ogni caso non è mai successo che la sconfitta abbia fatto riconoscere a qualcuno i propri errori, e colui che fu tradito dalla sorte poté sempre riporre in una nuova occasione la speranza nel trionfo che là per là lo frustrava. L’intelligenza non arreca soccorsi più utili: è uno strumento che non sceglie il suo padrone e che serve con indifferenza chiunque sappia usarla. L’esempio della virtù può offrire a quegli stessi uomini che si accinge a persuadere, piuttosto un oggetto di scherno che non di ammirazione. Scorgendo nel modello che vien loro proposto l’occasione di cogliere un facile vantaggio, essi preferiscono approfittare piuttosto che imitare e vedranno soltanto stoltezza e debolezza laddove esistono carità e perdono, cioè forza d’animo.

(…)

All’inizio i malvagi possono agire solo nella misura in cui li si immagina benigni: non esiste violenza che non prosperi al riparo di un corrispondente rispetto e che non viva della fiducia che questo fa nascere. Chi crederebbe alla menzogna, se tutti mentissero? Ai furbi non resterebbe che chiudere la bocca. Se ognuno, senza riconoscere né fede né legge, perseguisse soltanto il proprio interesse, immediatamente pronto a tradire i propri complici della vigilia, chi non si renderebbe conto che perfino la slealtà sarebbe resa impossibile dai propri eccessi?
Nessuno acconsentirebbe a esporsi al minimo tradimento. E’ dunque destino del male distruggere tutti i tesori che con grande difficoltà la virtù estrae dal nulla, e in mancanza dei quali una diffidenza sempre più esacerbata vieterebbe ogni umano commercio.

da La virtù della speranza, in La roccia di Sisifo, Roger Caillois, Lucarini, 1990, trad. di Annamaria Laserra

Offerte allo spettatore

Nella forma artistica del nudo europeo i pittori e gli spettatori-proprietari erano di solito uomini, mentre le persone trattate da oggetti erano per lo più donne. Questa disparità è così profondamente radicata nella nostra cultura da strutturare ancor oggi la coscienza di molte donne. Esse fanno a se stesse ciò che gli uomini fanno loro. Sorvegliano la propria femminilità, esattamente come fanno gli uomini.

Nell’arte moderna la categoria del nudo è diventata meno importante. Furono gli stessi artisti a cominciare a metterla in discussione. Da questo, come da molti altri punti di vista, Manet rappresenta un punto di svolta. Se si confronta la sua Olympia con l’originale di Tiziano, si vede una donna che, vistosi assegnare un ruolo tradizionale, si mette a contestarlo, quasi con insolenza.

L’ideale era infranto. Ma a rimpiazzarlo non c’era altro che il ‘realismo’ della prostituta, che per prima avanguardia pittorica del ventesimo secolo divenne la quintessenza della femminilità. (Toulouse-Lautrec, Picasso, Rouault, espressionismo tedesco, etc,). Nella pittura accademica la tradizione prosegue inalterata.

Oggi gli atteggiamenti e i valori che informavano quella tradizione, si esprimono attraverso mezzi di comunicazione diversi e a diffusione assai più ampia: pubblicità, giornalismo, televisione.

Nella sostanza, però, il modo di vedere le donne, l’uso che si fa della loro immagine, non è cambiato. Le donne sono rappresentate in modo assai diverso dagli uomini, non perché il femminile sia diverso dal maschile, ma perché si assume che lo spettatore “ideale” sia sempre maschio e l’immagine della donna è destinata a incensarlo.

Se avete dubbi in proposito, fate il seguente esperimento (*)

Questione di sguardi. Sette inviti al vedere fra storia dell’arte e quotidianità, John Berger, Il Saggiatore, 2015, trad. di Maria Nadotti

(*) per sottoporti all’esperimento, è necessario che ti procuri il libro con le tavole proposte; altrimenti, e vale comunque, sfoglia un volume qualsiasi di storia dell’arte occidentale e, per ogni immagine di nudo tradizionale, “trasformate la donna in un uomo. Con gli occhi della mente oppure disegnando sulla riproduzione, Osservate, quindi, la violenza prodotta dall’atto di trasformazione. Non sull’immagine, ma sulle certezze del probabile spettatore

 Note:

1. quando sarà tutto finito, potrei sovvertire l’ordine della questione, pubblicando in calce a questo post, il video in cui el hedi ben salem dice ‘tu mi hai fregato il posto’.

2. la donna che verrà, dopo quella della tradizione e la prostituta, è quella ritratta da Luca Donnini.

Autonomia e aggressività

(…) ogni movimento di distacco e di autonomia si accompagna al sorgere di insopportabili angosce di distruzione dell’altro e, correlativamente, di se stesso.

Ci si può chiedere come mai si verifichi questo fatto. La prima spiegazione è che la spinta all’autonomia in un essere appartenente (parzialmente) a un altro implica di per sé, ipso facto, un atto violento, una vera e propria frattura. Non è necessario postulare alcuna particolare accentuazione, innata o acquisita, dell’aggressività. Si potrebbe anzi sostenere che l’aggressività – intesa a questo punto, in primo luogo, come spinta all’autoaffermazione – è qui singolarmente scarsa, visto che il bambino è rimasto fissato al rapporto di appartenenza, vale a dire a un rapporto di sicurezza passiva, di delega ad altri delle proprie responsabilità. In queste condizioni, la spinta all’autonomia significa veramente un evento traumatico, qualcosa che suona come reale minaccia di morte.

Ma tale spinta non basta forse a chiarire il fatto che la minaccia di morte riguarda in primo luogo l’altro. Per Freud, vi è all’origine della nevrosi ossessiva un desiderio di morte dell’altro, che viene sostituita successivamente dall’angoscia per la sua morte. Siamo dunque nell’ambito di una vicenda puramente pulsionale, che rimanda tutt’al più a una determinazione costituzionale, organica, della pulsione stessa. Il postulato che abbiamo indicato riconduce invece essenzialmente di una rete costitutiva, una rete interpersonale di rapporti e desideri.

Ora, dal momento che l’essere debole è in realtà il bambino, il suo movimento di distacco dovrebbe comportare in primo luogo, o prevalentemente, angosce di distruzione di sé, piuttosto che di distruzione dell’altro.
Si potrebbe fare la seguente ipotesi. Per avviare il processo di separazione, il bambino deve qui basarsi, in misura molto superiore alla media, su una sua identificazione con la figura onnipotente. Proprio perché egli è parte di lei, per tentare di staccarsene, egli diventa lei, diventa figura onnipotente. Ma in questo scambio di ruoli si attivano angosce persecutorie precedenti, legate alla paura di perdita di questa figura. Infatti, nella situazione di base che abbiamo postulato, ogni interruzione del rapporto da parte di chi si cura del bambino deve determinare il sorgere di un’aggressività violenta che, proiettata sull’adulto, diventa timore della sua aggressività. Abbandonando anche per un momento il bambino, l’adulto si trasforma in un suo attivo persecutore. Ora, nel momento in cui il bambino, per distaccarsi, assume la figura dell’adulto, egli diventa contemporaneamente il persecutore dell’adulto-bambino. Ecco quindi che il movimento di autonomia si accompagna regolarmente al sorgere di angosce di morte dell’altro.

Si crea in definitiva una posizione d’indecidibilità, un’aporia senza soluzione possibile. Rimanere nella situazione di appartenenza delineata, significa avere un’identità, ma appena accennata, correlativa e dipendente da quella figura onnipotente, Proprio per questa debolezza, è costante il pericolo – e la tentazione – di un riassorbimento nella posizione fusionale precedente. Tentare di uscire da questa posizione per crearsi un’identità propria, indipendente, implica il rischio di distruzione del rapporto con la figura onnipotente e quindi l’affiorare di una situazione di isolamento, di solitudine colpevole, con immediato pericolo di annientamento. La posizione di appartenenza e partecipazione al polo onnipotente della diade, costituisce quindi l’assicella sospesa su due abissi antitetici: l’adeguazione totale alla figura adulta, con scomparsa di sé, e l’autonomia totale da essa, con analogo pericolo immediato.
Sospeso su questa assicella, il bambino rimane immobile, e in questo modo è sfiorato, non però pervaso, dalle angosce che ogni movimento gli procura. Se prevale infatti lo spostamento in direzione di una più intima fusione con la figura onnipotente, sorge subito il problema della perdita della propria identità che, per quanto limitata e dipendente, è però ben presente. A questo punto si formano caratteristiche angosce di annullamento infantili e si pongono le premesse dei futuri quadri di cosiddetta “depersonalizzazione”. Se il movimento prosegue, compaiono angosce di persecuzione in senso stretto: l’aggressività del soggetto, scatenata dalla accresciuta pervasività della figura adulta, si fa senso di immediata aggressività da parte di questa, proprio per la comunicazione esistente ai due poli del rapporto.
Se al contrario, prevale il tentativo di autonomia, sorgono come si è detto le angosce di distruzione dell’altro, con conseguente senso di colpa. Si profila la depressione. Se il senso di colpa viene erotizzato, ne deriva quella condizione di “masochismo psichico” (…).

da La freccia ferma. Tre tentativi di annullare il tempo, Elvio Fachinelli, Edizioni L’Erbavoglio, 1979 (pp.84-86)

e poi ogni sera saremmo stati accanto alla lampada…

Con una mano stringevo Francin mentre con l’altra gli carezzavo la nuca, lui teneva gli occhi chiusi e respirava profondamente, quando poi si era calmato mi stringeva alla vita, per cui sembrava stessimo lì lì per iniziare un gran ballo, e invece era qualcosa di più, era un bagno purificante durante il quale Francin mi sussurrava all’orecchio tutto ciò che gli era accaduto quel giorno, e io lo accarezzavo, e ogni movimento della mano gli appianava le rughe, e poi era lui ad accarezzarmi i capelli sciolti

(…)

E ricacciata via dal viso di Francin l’ultima ruga da qualche parte tra i capelli o dietro le orecchie, lui riapriva gli occhi, si raddrizzava, i polsini erano nuovamente all’altezza dei fianchi, mi guardava sfiduciato e, quando sorridevo annuendo, sorrideva anche lui, abbassava più gli occhi e si sedeva al tavolo, si era dato coraggio e mi guardava, e io facevo lo stesso, e vedevo il grande potere che avevo su di lui (…)

da La tonsura, Bohumil Hrabal, Edizioni e/o, Collana Praghese, 1987, a cura di Giuseppe Dierna, con Collages di Giuseppe Dierna

Machine

In generale le classi di quegli affetti che potrebbero essere definiti più passivi o delicati, come i sentimenti teneri o sentimentali, sono in gran parte assenti dall’esperienza cosciente del paranoide, il che sembra accadere tanto in quei paranoidi furtivi e costretti, quanto in quelli arroganti e megalomani. La tenerezza e il sentimento, in altre parole, sono ugualmente incompatibili sia in un ambito mentale generale rigidamente teso e sorvegliato, sia in uno arrogante e militante. Dove si manifestano dei sentimenti teneri e sentimentali, essi sono di solito ritenuti deboli o effeminati, e sono considerati con vergogna se sono interni, con sdegno se si manifestano in qualcun altro. Non solo il campo degli affetti, ma anche il campo degli interessi si contrae e si restringe in queste persone. La giocosità scompare e gli interessi scherzosi di solito sono assenti. Le persone paranoidi di solito non si interessano di arte o di estetica. è probabile che ai loro occhi tali interessi siano fiacchi, deboli, effeminati. Infine c’è un’ultima parte dell’esperienza soggettiva che si restringe, e che possiamo aggiungere a questo elenco, anche se la indicherò soltanto come un’impressione che sarebbe difficile confermare. Ho l’impressione che sotto un totale regime  paranoide di rigida mobilitazione ci sia anche una costrizione dell’esperienza fisica, sessuale; ad esempio, la sessualità tende a diventare meccanica e il piacere sessuale diminuisce.

 Considerato il generale restringimento dei loro interessi, è interessante notare che i paranoidi hanno spesso un grande interesse per le cose meccaniche, per gli strumenti, le apparecchiature elettriche e simili. Il che vale a prescindere dalla frequenza con cui tali elementi compaiono nel contesto del delirio paranoide. In realtà il loro sentimento comporta più che un semplice interesse. Le persone paranoidi spesso sembrano avere un rispetto speciale, e forse esorbitante, per cose e schemi meccanici, come calcolatrici, schemi di automazione e simili. In realtà il loro rispetto per cose e metodi meccanici e elettronici contrasta nettamente con il disprezzo che nutrono per buona parte di quel che è umano, e specialmente per quei casi che considerano di un’umanità rammollita, fiacca, difettosa, come i deboli e i malati, le persone sentimentali o le donne. Nel complesso, dal loro rispetto per l’una cosa e disprezzo per l’altra si ha facilmente l’impressione che preferirebbero un mondo completamente meccanizzato, in cui fossero eliminati gli aspetti sdolcinati e le indulgenze sentimentali insite nell’umana natura. Tali atteggiamenti chiariscono vieppiù che la mobilitazione del paranoide, con la sua rigida, meccanica direzionalità di comportamento, non è una misura aliena, presa per emergenza e con rammarico, ma, al contrario, è un modo costante di funzionamento intessuto di atteggiamenti che lo sostengono; e se molti caratteri paranoidi ne avessero il potere, senza dubbio tale modo sarebbe ancora perfezionato.

da Lo stile paranoide, in Stili nevrotici, David Shapiro, Casa Editrice Astrolabio, 1969

Creazione di Antinoo, discreazione di Ali

dal documentario di Viola Shafik, My name is not Ali (Jannat Ali), 2011, Mec Film (DE)

 

Update after the 18th of April 2021:

I no longer feel that I coincide with Fassbinder, I no longer have any sense of guilt for not being able to stand by someone I thought was sick and damaged: this Salem is not a victim, but an executioner.