Category Archives: del perché ci si deve sedere sul bordo del letto

SSM (e Il pigiama di Piantedosi)

“un uomo vuoto, ridotto a sofferenza e bisogno, dimentico di dignità e discernimento, poiché accade facilmente, a chi ha perso tutto, di perdere se stesso”

Primo Levi, I sommersi e i salvati, Einaudi, 1986, p.100 citato da Adriana Cavarero in Orrorismo. Ovvero della violenza sull’inerme, Castelvecchi, 2022 p.55

Il vero scopo della macchina violenta del lager nazista, ma anche degli interventi di Minniti, Salvini, Piantedosi (a favore della criminalità organizzata) “prevale largamente anche sulle finalità economiche di sfruttamento degli internati (o delle persone trasformate in sans papiers) come forza lavoro schiavizzata (…)”.

Dirty mouth

 

I want nothin’
I want it all now
I’ve got a dirty mouth
I’m not gonna wash it out
I’ve got baggage
It’s got big wheels
I’ve got a little dog
Biting at my heels
I’m not gonna heal you
Not gonna make your dreams come true
Don’t touch me
Don’t even look at me
I’ve got laser beams
Coming out my eyes
Do you still really
Wanna mess with me?
Wanna mess with me?
Wanna mess with me?
I got tough ’cause I had enough
I was a girl with a big heart
And they really roughed me up
My body fell asleep
When they took it away from me
But I got it back
Now I do what I like with it
Do what I like with it
Do what I like with it
Yeah
Show me your soft spot
Have some pillow talk
Your sweat tastes salty
Your brakes are faulty
Watch the sky, don’t feel shame
Talking back, don’t feel shame
Saying no, saying no, saying no
Dressed up, letting go, letting go
Dirty mouth, don’t feel shame
Stepping out of the frame

La derubata che sorride, ruba qualcosa al ladro

“Il derubato che sorride, ruba qualcosa al ladro”  Emily Dickinson cita questo passo dell’Otello “He that is robb’d, not wanting what is stolen,/Let him not know’t, and he’s not robb’d at all”.

Prosegue, Elèmire Zolla, nella sua introduzione a Selected Poems and Letters per Ugo Mursia Editore (1961):

perché non cede a costui la propria anima; astenendosi dal turbamento, dal risentimento egli evita di essere travolto, di formare con il ladro una catena di effetti malvagi. Non è, questa, la codardia dello schiavo che ha buttato le armi, bensì il sentimento di chi si pone sopra la contesa, anche se vi partecipa. Nel furto, la vittima deve saper vedere il rapporto, non soltanto il ladro, e astenersi dal rancore: considerare il ladro come il divino limite, la necessità che definisce lui in quel momento. Se questa è rassegnazione, è come dice Emily, la rassegnazione di Brabanzio, cioè del padre di Desdemona, il quale, alle strette, dovendo consegnare la figlia al Moro esclama:

I here do give thee that, with all my heart,
Which, but thou hast already, with all my heart
I would keep from thee.

Cedo “con tutto il cuore” ciò che, se tu già non l’avessi, “con tutto il cuore”, ti vieterei, dice Brabanzio; la sua è la forza che Emily trova prescritta con più spento vigore da Emerson nel saggio Fate. Bisogna liberarsi dal giro della fortuna, vederla come è in realtà: ruota di tortura, ruota infuocata, per evaderne infine: questa la lezione che Emily trae da King Lear (come da The Tempest, Henry VIII, Richard II): acquistare la saggezza di Cordelia è il suo proposito.

Suleman, ancora torni alla mia porta: non ti rassegni alla mia non belligeranza, alla mia comprensione.

Sono altrove, sono Isegbwe.

Decolonising the Cinema (ITA-ENG TXT)

Cineforum per richiedenti asilo e titolari di protezione

Quando, più concretamente, l’atto di vedere è presentato come un atto di violenza assistita e, soprattutto, di conversione dei corpi in oggetti, allora gli spettatori diventano protagonisti di un’antropomorfizzazione al contrario. Qui coloro che prima erano umani hanno perso la loro umanità, e la stessa messa in scena degli spettatori all’interno dell’inquadratura rafforza la violenza di una disumanizzazione che fa più che rendere impossibile la categoria dell’umano.[1]

Il voyeurismo di chi accetta di farsi spettatore dell’omicidio di George Floyd o di Alika Ogorchukwu, lo sguardo caritatevole di chi versa qualche spicciolo al richiedente asilo fuori da un supermercato, quello giudicante il grado di onestà o criminalità in base al fototipo, quello rapace di chi erotizza un corpo, non solo hanno in comune il fatto di essere il risultato di una colonizzazione dell’immaginario collettivo, ma anche l’effetto di condizionare lo sguardo su sé dello spettatore/della spettatrice che coincide con il corpo reso oggetto, inoculando la morbosa sensazione particolare, questa doppia coscienza, questo senso di guardare sempre se stessi attraverso gli occhi degli altri, misurando la propria anima con il nastro del mondo che guarda con divertito disprezzo e pietà.[2]

La scelta di proiettare film che smentiscono questo sguardo, che riducono al silenzio questa doppia coscienza, è ciò che si intende con Decolonizzazione del cinema.

Dal 2017 a oggi il gruppo di Orientamento alla Formazione e al Lavoro del Progetto Pensare Migrante ha redatto 520 curricula, di richiedenti asilo e titolari di una protezione, definendo una road map delle competenze, delle peculiarità, dei sogni e delle esperienze individuali. Il 43% di queste persone, seppure con un regolare contratto, comunque sta svolgendo un lavoro che svaluta le proprie competenze, la formazione e le esperienze maturate nel proprio paese di origine: anni di abusi (burocratici, socio-lavorativi) quasi sempre approdano a un’autosvalutazione, che favorisce la segregazione sociale: tutto questo è accettato anche a causa della colonizzazione della camera (foto o video).

Alle 520 persone, tramite email, sarà richiesto di rispondere alle seguenti due domande:

  • Qual è il film che ritieni essere più interessante per combattere i pregiudizi razziali o il più efficace nel valorizzare le differenze culturali?
  • Quali di questi film hai visto e, da 1 a 10, che voto daresti riguardo alla loro efficacia nel combattere i pregiudizi razziali e nel valorizzare le differenze culturali?

In una riunione collettiva tra i soci dell’Associazione ColtivAzione, si discuteranno i risultati delle domande e da questi saranno scelti i 24 film.

La fotografa Fabiana Sartini documenterà l’esperienza e alla fine della rassegna, a Roma presso la Libreria Libri Necessari, sarà allestita una mostra aperta al pubblico.

Chi avrà partecipato al progetto:

  • avrà a disposizione i nomi dei registi e del cast, nonché i titoli dei film della rassegna: per poterli ritrovare e condividere all’interno della propria comunità, ma anche per proseguire da questi nel proprio personale percorso di cinefile/i;
  • sarà indirizzato all’iscrizione al circuito delle Biblioteche di Roma, per il reperimento gratuito di film e libri;
  • sarà informato sulle caratteristiche di base di un proiettore, sulla Licenza MPLC e sui passi per costituire un’associazione senza scopo di lucro e un proprio cineclub;
  • riceverà un attestato di partecipazione.

Si crede che la ricaduta positiva di questa esperienza avrà risonanza e durata a lungo termine, a beneficio della società.

Le spese che andranno affrontante sono quelle per:

  • Licenza Ombrello MPLC
  • Proiettore YABER Lumen;
  • Sedie;
  • Rimborso spese una tantum per responsabile progetto
  • Rimborso spese mensile per un anno a favore di una delle 520 persone prese in carico, per recupero e riconsegna film in biblioteca/gestione proiezione bimestrale/gestione pubblico in base alle prenotazioni/sistemazione sala a fine proiezione
  • Rimborso spese mensile per un anno a favore di una delle 520 persone prese in carico, per invio bimensile della comunicazione tramite newsletter alla mailing list dei beneficiari e raccolta delle prenotazioni
  • Rimborso spese una tantum per l’amministrazione contabile
  • Rimborso spese una tantum per l’addetta alla comunicazione
  • ‘Tessera sospesa’: tesseramento all’Ass.ColtivAzione di 50 soci
  • Rimborso biglietti autobus per beneficiari/e del progetto
  • Documentazione fotografica del progetto, stampa e allestimento mostra finale

Per la realizzazione del progetto per la durata di un anno, sono necessari 11000 euro.

Indipendentemente dall’esito della raccolta fondi, il progetto avrà luogo, seppure con una minore durata o un minor numero di beneficiari/e.

Per donare:

Qui

oppure

Associazione Coltivazione

IBAN: IT09A0538703209000003168237

indicando nella causale: Decolonising the Cinema

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Cineforum for asylum seekers and refugees
To be specific, when the act of seeing is presented as an act of witnessing violence and, more specifically, as the witnessing of the conversion of bodies into objects, viewers become parties to a reverse anthropomorphizing. Here those who were previously human have lost their humanity, and the very staging of viewers within the frame reinforces the violence of a dehumanizing that dues more than make impossible the category of the human.” (Samuels, 2006, quoted at p.51 by Mark Sealy in Decolonizing the Camera: Photography in Racial Time, Lawrence & Wishart, London 2019).
The voyeurism of those who agree to be spectators of the murder of George Floyd or Alika Ogorchukwu, the charitable gaze of those who give a few coins to the asylum seeker standing outside a supermarket, those judging the degree of honesty or criminality based on the color of one’s skin, the rapacious who eroticize a body, all have in common not only the fact of being the result of a colonization of the collective imagination, but also the effect of conditioning the spectators to identify one’s self with the body-object, inoculating the morbose “peculiar sensation, this double consciousness, this sense of always looking at one’s self through the eyes of others, measuring one’s soul by the tape of the world that looks on in amused contempt and pity.” (Du Bois & Gibson, 1996, quoted at p.156 by Mark Sealy in Decolonising the Camera: Photography in Racial Time, Lawrence & Wishart, London 2019).
The choice of projecting films that belie this outlook and reduce this double consciousness to silence, is what decolonization of cinema means.
From 2017 to this day, Pensare Migrante’s Orientation to Training and Work Project group has drawn up 520 curricula for asylum seekers and refugees, defining a map of skills, peculiarities, dreams and individual experiences. 43% of these people, albeit with regular contracts, are still carrying out jobs that depreciate their skills, training and experiences gained in their countries of origin: years of abuse (bureaucratic, socio-functional) almost always result in self-depreciation, which promotes social segregation. All this is also accepted because of the colonization of cameras (photos or videos).
An e-mail will be sent to 520 people, requiring them to answer the following two questions:
– Which film do you believe would be the most forceful in fighting racial prejudices?
– Which of these films have you seen and, from 1 to 10, what mark would you give regarding their effectiveness in fighting racial prejudices?
In a collective meeting among the members of the ColtivAzione Association, the results of the questions will be discussed and 24 films will be chosen from those mentioned in the replies.
Of the above-mentioned 520 e-mail recipients, the Association’s membership card will be offered to the first 50 who show an interest in participating: they will be provided on a bi-monthly basis for one year at the headquarters of the Association Gli Occidentati (Those damaged by westerners). These 50 will receive an e-mail invitation, to which a short multilingual presentation to the projections (in Italian-English-French) will be attached each time.
Photographer Fabiana Sartini will document the experience and at the end of the review, an exhibition will be open to the public in Rome, at the bookstore Libri Necessari.
Those who will have participated in the project will:
– have at their disposal the names of the directors and the cast, as well as the titles of the films of
the review: in order to be able to find them and share within their communities, but also to
pursue their paths of cinephiles as a result of this review;
– be lead to enroll in the circuit of libraries in Rome, to find films and books for free;
– be informed about the basic characteristics of a projector, on the MPLC license and the steps
required to found a non -profit association and its own film club;
– receive a certificate of participation.
It is believed that the positive return of this experience will have long-term resonance and duration, for the benefit of society.
The expenses they will be incurred are those for:
– MPLC umbrella license to publicly project movies;
– Projector;
– Seats;
– Reimbursement of one -off expenses for the project manager;
– Refund of monthly expenses for one year in favor of one person, hired from among the 520
people, to take out and return films to and from the library/management of the bimonthly
projection/public management based on reservations/room accommodation at the end of the
screening;
– Refund of monthly expenses for one year in favor of one person, hired from among the 520
people, for the bi-monthly sending of communications through newsletters to the mailing list of
beneficiaries as well as collecting reservations;
– Reimbursement of one-off expenditure for the accounting administration;
– Reimbursement of one-off expenditure for the communication employee;
– “Suspended card”: membership of the Ass. ColtivAzione of 50 members;
– Refund bus tickets for beneficiaries of the project:
– Photographic documentation of the project, printing and final exhibition setting.
For the realization of the project for the duration of one year, 11000 euros are needed.
Regardless of the outcome of the fundraising, the project will take place, albeit with a shorter duration or fewer beneficiaries.

[1] Samuels, 2006, citato a pag.51 da Mark Sealy in Decolonising the Camera: Photography in Racial Time, Lawrence & Wishart, London 2019.

[2] Du Bois & Gibson, 1996, citato a pag.156 da Mark Sealy in Decolonising the Camera: Photography in Racial Time, Lawrence & Wishart, London 2019.

Photo: Fabiana Sartini

93 donne sono state uccise in Italia dall’inizio del 2021

Il 92% delle quali, sono morte per mano del partner. (L’Essenziale, 27/11/2021)

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El violador eras tú
El violador eres tú
El estado opresor es un macho violador
El estado opresor es un macho violador.

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Una relazione violenta è quella che compromette l’autostima della vittima.

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L’uomo che uccide una donna, prima l’ha maltrattata, picchiata, ricattata, minacciata, manipolata, abusata.

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Dalla violenza non si esce da sole: chiama l’1522

La mia libertà, vero Sule?

 

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Più che la scoperta del fuoco

Susan Brownmiller (1935), una giornalista che dedica anni di ricerca e documentazione al problema dello stupro, pubblica nel 1975 un libro voluminoso dal titolo Contro la nostra volontà. Uomini, donne e violenza sessuale, che avrà un successo molto largo. La tesi del libro, rafforzata da una documentazione ricchissima sul piano storico, sociologico, giudiziario, è semplice: lo stupro, inesistente nelle pratiche sessuali animali, è una pratica di violenza esclusiva della specie umana, ed è nata nella preistoria più antica, quando l’uomo ha “scoperto” che “penetrando” la donna con il suo organo genitale poteva commettere su di essa un atto di violenza, anche tramite la semplice minaccia della penetrazione contro la volontà della donna. L’autrice scrive pagine molto efficaci e persuasive per dimostrare che nello stupro conta molto di più la motivazione della violenza “politica” e “morale” rispetto a quella della violenza sessuale. Con lo stupro, o la minaccia di esso, l’uomo ha sempre esercitato un potere discrezionale e indiscusso sulla donna: “La scoperta dell’uomo che i suoi genitali potevano servire come arma per generare paura deve essere annoverata fra le più importanti scoperte dei tempi preistorici, insieme con l’uso del fuoco e le prime rozze armi di pietra. Dalla preistoria ai giorni nostri – è mia convinzione-lo stupro ha svolto una funzione critica. Si tratta né più né meno che di un consapevole processo d’intimidazione mediante il quale tutti gli uomini mantengono tutte le donne in uno stato di paura” (Bompiani, 1976, p.13)

Franco Restaino da Le filosofie femministe, Franco Restaino e Adriana Cavarero, Paravia, 1999, p.64