Category Archives: complessità

Lo so

(…) poi c’è un altro tipo di fannullone, il fannullone per forza, che è roso intimamente da un grande desiderio d’azione, che non fa nulla perché è nell’impossibilità di fare qualcosa, perché gli manca ciò che gli è necessario per produrre, perché è come in una prigione, chiuso in qualche cosa, perché la fatalità delle circostanze lo ha ridotto a tal punto; non sempre uno sa quello che potrebbe fare, ma lo sente d’istinto : eppure sono buono a qualcosa, sento in me una ragione d’essere! So che potrei essere un uomo completamente diverso!

Da Lettere a Theo, Vincent van Gogh, Guanda, a cura di Massimo Cescon, pp. 87-88

La jetée

Noialtri siamo tenuti, si sa, dal nostro passato e dall’avvenire. Passiamo quasi tutto il nostro ozio e quanta mai parte della nostra professione, facendoli oscillare in su e in giù in equilibrio. Dove l’avvenire si avvantaggia in estensione, il passato sostituisce il peso, e alla loro fine l’uno e l’altro non si distinguono più, la prima giovinezza diventa più tardi chiara come l’avvenire  e la fine dell’avvenire con tutti i nostri sospiri è, a rigore, già esperienza e passato. Così si chiude quasi questo cerchio lungo il cui margine siamo incamminati. Ebbene, questo cerchio è nostro solo fintanto che lo teniamo; se una volta ci spostiamo per qualche dimenticanza di noi stessi, per una distrazione, uno spavento, uno stupore, una stanchezza, ecco che lo abbiamo perduto nello spazio; finora avevamo ficcato il naso nella corrente dei tempi, ora ci tiriamo indietro ex nuotatori, presenti passeggiatori, e siamo perduti. Siamo fuori della legge, nessuno lo sa e pure ognuno ci tratta in tal senso.

Dalla domenica del 19 luglio 1910, Diari, Franz Kafka, Mondadori (trad. di Ervino Pocar)

L’uomo in cerca dell’infinitezza incontra solo finzioni, e il contenuto di gratificante “realtà” che pur si continua a pretendere abbiano i fatti, irresistibilmente tramutati in idoli dall’istinto comune o dal dogma sensista, opera infine l’inganno di una fede male orientata, e in definitiva un vero e proprio travisamento. Questo travisamento proviene (…) da una semplice circostanza: la “realtà” del mondo continua a presentarsi, agli occhi di chi vuole trascenderla, con le credenziali di un’invincibile e allettante concretezza.

(…) infatti, più della morte, ciò che tormentava il Medardo di Hoffmann: “I più bassi istinti materiali, mascherati da mistici rapimenti, si scatenano in noi promettendoci, già fin di quaggiù, l’appagamento dei nostri sogni più esaltati: la passione inconscia ne rimane ingannata e l’aspirazione alle cose sante, ultraterrene si spezza nell’ineffabile, mai provata gioia dei sensi”.

da “Breve storia dell’infinito”, Paolo Zellini, Adelphi, (pp. 244-245)

l’eternità attraverso gli atomi (senza che questo ci tocchi)

E se il tempo, dopo la morte, adunasse e disponesse di nuovo, come son oggi; i nostri atomi, e ci ridesse la luce del giorno ancora una volta nemmeno cio` potrebbe minimamente toccarci, quando una volta è spezzato il filo in noi della vita.
Ed ora a noi non importa nulla di cio`che già fummo, e non ci angustia il pensiero di quei passati noi stessi.
Perché se osservi l’intero spazio del tempo trascorso, immenso, e quanto sian vari i moti della materia, non stenti a credere come già per l’addietro quegli atomi stessi che adesso ci formano, si sian trovati più d’una volta disposti come ora sono nel modo medesimo.

dal De rerum natura, Libro III, vv. 845-856, Lucrezio, Rizzoli, versione di Luca Canali

Palingenesi (nuova nascita), teoria propria del sistema di Epicuro, secondo la quale col tempo si ripetono combinazioni atomiche identiche a quelle già esistite e dissolte, cosi`che riappaiano mondi spariti e col ricostituirsi tale e quale di precedenti aggregati atomici si verifica il ritorno della stessa anima nello stesso corpo.

tempo qualitativo

La-Jetee-03

Il filosofo francese Henri Bergson, in opposizione con le interpretazioni scientifico-positivistiche del concetto di tempo (come successione di istanti statici calcolabili e determinati), avanza l’ipotesi di un tempo formato da istanti qualitativamente diversi l’uno dall’altro e aventi una durata distinta a seconda dell’investimento emotivo del momento. Il tempo diventa dunque un fattore soggettivo. La vera durata è quella la cui sintesi è qualitativa, ossia un graduale organizzarsi fra loro delle nostre sensazioni successive. Il tempo quantitativo è quello che considera gli istanti come due punti nello spazio e di un’azione calcola il punto di partenza e il punto di arrivo. Il tempo qualitativo invece è quello che considera la qualità di ciò che intercorre tra i due punti. Il protagonista del film di Marker (La Jetée) vive nella seconda dimensione; egli, attraverso la memoria, reitera all’infinito una durata temporale che ha avuto su di lui una carica emotiva dirompente.

da Chris Marker o del film-saggio, Ivelise Perniola, Lindau

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appunti per Mi chiamo M.M. n. -2

sul piacere di farsi sé

no gender luca donnini

Pensavo a Mariposa, a Redaelli, e a quanto sia tortuosa la natura dell’uomo. O piuttosto la Natura al maiuscolo. Per come intreccia fittamente norma e eccezione. Mi chiedo se non abbia ragione Placido con la sua teoria dei frattali estensibile a tutti i fenomeni dell’esistenza, se è vero che perfino le aritmie del mio cuore, con le loro impennate e decelerazioni, sono meno schiave d’un capriccio che d’una legge, accidenti a loro…Lo stesso vale per l’equivoca Mariposa? è un disordine dentro un ordine? un ordine dentro un disordine? “Io non mi travesto, io mi vesto” mi disse una volta, e voleva significare che si abbigliava da donna non per farsi altro da sé ma per il piacere di farsi sé, di esibire di sé l’immagine nuda attraverso il sofisma di un’impostura.

da Tommaso e il fotografo cieco, Gesualdo Bufalino, Bompiani

sull’arte dell’esitazione

Fontana di sperma, di Luca Donnini, Via degli Zingari 22 a Roma 28 aprile 2012

un soggetto sufficientemente ‘movimentato’

(esitante non perché indeciso ma)

deciso a non prendere di mira le cose.

(…)

…(pensare) le cose su scala umana, ossia (pensarle) aggiungendovi esplicitamente l’uomo (o me in quanto persona), non già facendo astrazione dall’osservatore, che è ciò che costituisce la scala umana. So sempre che c’è (una)∞ di altri punti di vista, (una) ∞ di altre espressioni dello stesso sistema di impressioni. Alla stessa realtà, corrispondono (una) ∞ di considerazioni valide. Per es(empio): lo stesso avvenimento sarà diverso nelle conseguenze se cambia il tempo durante il quale se ne osserveranno le conseguenze. E da ciò dipendono ogni valutazione e ogni azione dedotte da quell’avvenimento.

Per me l’individuo non ha un’esistenza chiara – ben definita.
In altri termini – io tengo conto istintivamente della variabilità delle condizioni implicite.

dai Cahiers I 1894-1914, Paul Valéry, Adelphi

 

complessità

Questo silenzio che da me dipende,
echeggia pure d’infiniti dèi;
ci sono mille mondi sovrapposti
presso quell’albero fra gli alti cardi,
e questa foglia che mi vola innanzi
può sconfiggere un uomo, cancellare
un verso millenario, essere un sogno;
i mille dèi stanno a guardare l’albero
e ognuno vede un mondo, e non si vedono.

da Luoghi comuni, J. Rodolfo Wilcock, Il Saggiatore, Biblioteca delle Silerchie

sull’autobiografia

Georges Perec: “Quest’autobiografia dell’infanzia si è fatta partendo da descrizioni di foto, da fotografie che servivano da intermediari, da strumenti di avvicinamento a una realtà di cui sostenevo di non possedere il ricordo. In realtà si è fatta attraverso un’esplorazione minuziosa, quasi ossessiva a forza di precisazioni, di dettagli. Attraverso questa minuziosità nella scomposizione, qualcosa viene rivelato. Je me souviens si colloca in una specie di via di mezzo e potrebbe continuamente precipitare nella relazione che ho con questo ricordo. Quando scrivo “Mi ricordo che la mia prima bicicletta aveva le gomme piene”, non è un’innocente banalità! Ne ho ancora la sensazione fisica eppure, apparentemente, è una cosa neutra.”

Frank Venaille: “Sì, è per quanto riguarda questa pseudoinnocenza, questa falsa apparenza della neutralità, non pensi che avresti benissimo potuto lavorare con una scatola di fotografie portateti da qualcuno e appartenenti a una famiglia a te sconosciuta, che ti avrebbe così fornito gli elementi di una finzione?”

Georges Perec: “L’ho fatto! Ho partecipato a una trasmissione televisiva intitolata La vita filmata dei francesi, che era un montaggio di film di dilettanti degli anni ’30-’36, per il quale ho scritto il commento. Ho quindi lavorato su documenti nei quali ho ritrovato quasi la mia propria storia.”

da Sono nato – Il lavoro della memoria(intervista di Frank Venaille), Georges Perec, Bollati Boringhieri, trad.di Roberta Delbono