Category Archives: appunti per trentasei e dieci vedute

L’occhio che percepisce e la mano che trasforma l’impressione visiva in disegno sono parte integrante di un dispositivo il cui carattere voyeuristico è stato più volte sottolineato dai critici. L’oggetto a cui mira questo dispositivo è il corpo della donna che, nel caso di Dürer. è un modello passivo, pudicamente coperto, in apparenza addormentato. Insomma, un puro oggetto di contemplazione.

Effetto Sherlock. Storia dello sguardo da Manet a Hitchcock, Victor I. Stoichita, Il Saggiatore, trad. di Cecilia Pirovano

appunti per Mi chiamo M.M. n.10

xilografia di mila

In realtà, dopo un quarto d’ora di posa, il modello non era più in grado di guardare l’artista in quel modo, ed era appunto dal momento in cui lo sguardo si assentava che occorreva ritrovarlo vivente sulla tela.

da Ritratto dell’artista scimmiotto, di Michel Butor, Einaudi, trad.di Oreste del Buono

appunti per Trentasei e dieci vedute n. 36 + 4

peter schlemihl di georg cruikshank

 

– Durante il breve istante che ho avuto la felicità di passare accanto a voi, ho davvero osservato diverse volte – permettetemi di dirvelo, signore – con un’ammirazione indicibile la così bella, così bella ombra che voi proiettate al sole, con una specie di nobile sdegno, senza prestarvi attenzione – sì quell’ombra magnifica ai vostri piedi. Vogliate perdonarmi una proposta indubbiamente temeraria. Vi ripugnerebbe poi molto cedermi quest’ombra?

– Cosa dovrei fare di questa strana offerta di comprare la mia ombra?

– Ho nella mia tasca diverse cose che potrebbero non apparire del tutto prive di valore al Signore; per quest’ombra davvero inestimabile il prezzo più alto mi sembra ancora insufficiente.

(…)

Estrassi la miserabile borsa dal mio petto, e in preda a una specie di furore, come le fiamme di un incendio che si alimentano delle proprie forze, estraevo oro, su oro, su oro, sempre più oro; lo spargevo sul pavimento, vi camminavo sopra, lo facevo tintinnare e, placando il mio povero cuore col suo splendore e il suo tintinnio, gettavo metallo sopra a metallo fin quando, stanco, non mi lasciai cadere…

… fino a quando un lettore…

più o meno da Peter Schlemihl di Adelbert von Chamisso

appunti per trentasei e dieci vedute n.36

veduta numero 36

I particolari riguardanti il dispositivo di verticalizzazione, malgrado il loro carattere lapidario, sono molto importanti poiché Plinio era certamente al corrente, come molti brani della sua opera stanno a dimostrare, di tutta una metafisica primitiva concernente l’ombra (soprattutto l’ombra distesa, a contatto diretto con la terra) e dei suoi legami con la morte. Bisogna andare in fondo nel testo per capire che la figlia di Butades alla vigilia di una partenza “fissa” per così dire, durante la notte, l’immagine del proprio caro in una verticalità che si vorrebbe perpetua, esorcizzando in tal modo il pericolo di morte e conservando presso di sé un’immagine compensatoria dell’assente reso “vivo” (“eretto”) in eterno.

da Breve storia dell’ombra. Dalle origini della pittura alla Pop Art, Victor I. Stoichita, Il Saggiatore

appunti per Trentasei e dieci vedute n.29

veduta numero 29

Cerchiamo ora di immaginare un possibile poeta.

(…)

Dovrà astrarsi e al tempo stesso astrarre la realtà, attirandola nella propria immaginazione.

(…)

Bergson definisce la percezione visiva di un oggetto immobile come il più stabile degli stati interni: “Poniamo che l’oggetto rimanga sempre identico,” dice, “e che io lo osservi sempre dallo stesso lato, sotto la stessa angolatura e alla stessa luce; nondimeno, la visione che ne ho in questo momento è diversa da quella che ne ho appena avuto, se non altro perché la seconda è di un istante successivo alla prima. C’è la mia memoria, che porta nel presente qualcosa del passato”.

(…)

Il poeta dà alla parola “realtà” un suo significato, e la stessa cosa fanno il pittore e il musicista; ed essa, oltre a ciò che significa in generale per i sensi e l’intelletto, ha ancora, diciamo, un significato particolare per ciascuno. Ma nonostante ciò la parola “realtà”, così come io l’ho usata in senso generico, possiede un’immediata capacità di adattamento. Il soggetto della poesia non è “l’insieme di oggetti solidi e statici che si estendono nello spazio”, ma la vita che è vissuta nel luogo che essa crea; la realtà, dunque, non è quel luogo esterno ma la vita che si vive.

(…)

Quando parlo di pressione della realtà, penso a una vita violenta.

(…)

Il poeta che ho immaginato deve essere in grado di resistere e di sottrarsi alla pressione che la realtà esercita.

(…)

Sì, la materia che domina la poesia – la sua fonte inesauribile- è la vita, non l’obbligo sociale. Non si ama la nostra madre antica, né si ritorna a lei per un obbligo sociale ma per una suggestione che non può essere soppressa.

(…)

Quale sarà la funzione del poeta? Non sarà certo quella di condurre la gente fuori dallo stato confusionale in cui si trova, e neppure quella di darle conforto mentre viene sballottata da una parte all’altra, dietro ai suoi capi. La sua funzione è piuttosto quella di dare agli altri la sua immaginazione perché la facciano propria, e potrà dire di avere raggiunto il suo scopo solo quando essa illuminerà la loro mente. Il suo ruolo, in breve, è di aiutare gli altri a vivere la loro vita.

(…)

Il poeta dà alla vita quelle supreme finzioni senza le quali non riusciremmo a pensarla.

da L’angelo necessario, Wallace Stevens, Coliseum

elio che mi ritrae mentre lo ritraggo

appunti per Trentasei e dieci vedute n.28

nature morte tal coat

Eppure sono l’angelo necessario della terra,
Perché la terra nel mio sguardo rivedete,

Libera dalla sua dura e ostinata maniera umana,
E, nel mio udire, udite il suo tragico rombo

Liquidamente sollevarsi nei suoi liquidi indugi,
Come acquee parole nell’onda; come sensi detti

Con ripetizioni e approssimazioni. Non sono forse,
Io stesso, una sorta di figura approssimativa,

Una figura intravista, o vista un istante, un uomo
Della mente, un’apparizione apparsa in

Apparenze tanto lievi a vedersi che se appena
Volgo la spalla, sùbito, ahi sùbito, svanisco?

da L’angelo necessario, Wallace Stevens, Coliseum, a cura di Massimo Bacigalupo,  trad.di Gino Scatasta

appunti per Trentasei e dieci vedute n.25

the woman and the god fritz henle 1938

(…)

non più una questione di Mimesis, ma di divenire: Achab non imita la balena, diventa Moby Dick, transita nella zona di prossimità in cui non può più distinguersi da Moby Dick, e colpendola, colpisce se stesso.

(…)

Qual è il gesto di Achab, quando scaglia le sue espressioni di fuoco e di follia? Egli rompe un patto; trasgredisce la legge dei balenieri che vuole che si dia la caccia ad ogni balena sana che si incontri, senza scegliere. Lui, invece, sceglie, perseguendo la sua identificazione con Moby Dick, gettato nel suo divenire indiscernibile, mettendo il suo equipaggio in pericolo di morte. Ed è questa mostruosa preferenza che il luogotenente Starbuck gli rimprovera amaramente, considerando addirittura la possibilità di uccidere il capitano traditore. Scegliere è il peccato prometeico per eccellenza. Era il caso della Pentesilea di Kleist, Achab-donna che aveva scelto il suo nemico, come suo doppio indiscernibile, in Achille, sfidando la legge delle Amazzoni che proibiva di preferire un nemico. La sacerdotessa e le Amazzoni vedono in ciò un tradimento che la follia sanziona attraverso una identificazione cannibalica.

Gilles Deleuze in Bartleby o la formula della creazione, Gilles Deleuze e Giorgio Agamben, Quodlibet, trad.di Stefano Verdicchio