Ovunque, in tutta la realtà accessibile e in ogni essere, è necessario trovare il luogo sacrificale, la ferita. Ogni essere è toccato solo nel punto in cui soccombe: una donna sotto la sua gonna, un dio nella gola dell’animale sacrificale.
Colui che, odiando la solitudine egoista, esige la perdita di sé, e l’estasi, prende “per la gola” la distesa del cielo, poiché essa deve sanguinare e gridare. Una donna denudata apre bruscamente un territorio di delizie (mentre decentemente vestita non è più conturbante di un muro o di un mobile): così la distesa indefinita si lacera e, lacerata, si apre alla mente estasiata che si perde in essa nello stesso modo in cui il corpo si perde nella nudità che gli si dona.
Se l’illusione del compimento non è accettata in modo totale e astratto nella rappresentazione di Dio, ma più umanamente nella presenza di una donna vestita, allora si vedrà che non appena questa donna sarà almeno in parte denudata la sua animalità ridiventerà visibile e la sua vista libererà in me la mia incompiutezza… Nella misura in cui le esistenze appaiono perfette e compiute, rimangono separate, chiuse su se stesse. Si aprono soltanto attraverso la ferita, che è in loro, del non compimento dell’essere. Ma attraverso quel che si può chiamare non compimento, nudità animale, ferita, esseri innumerevoli e separati gli uni dagli altri comunicano e nella comunicazione dall’uno all’altro prendono vita perdendosi.
da L’amicizia, Georges Bataille, SE Studio Editoriale, a cura di Federico Ferrari