Category Archives: 13 agosto 1991

congedo

La pioggia ha ripulito gli erti muri di case
io scrivo sopra l’arco di pietra bianca
e lievemente sento
rafforzarsi la mano stanca ai versi
d’amore, dolci eterni ingannatori.

Io veglio nella notte tempestosa sui flutti alti del mare!
E sfuggii forse alla mano amorosa
del mio angelo: ho ingannato il mondo, e il mondo me.
Vicino alle conchiglie, nella sabbia,
ho sepolto la salma.

Leviamo gli occhi ad un unico cielo –
e ci invidiamo la terra?
Perché Dio balenando ha trasmigrato ad Oriente,
travolto dall’immagine delle sue creature?

Io veglio nella notte tempestosa sui flutti alti del mare!
E quel che mi unì al giorno di riposo
della Sua creazione, è come un tardo stormo d’aquile
sparito in questo buio minaccioso.

Da Ballate ebraiche e altre poesie, Else Lasker-Schūler, Giuntina

Moneglia il 15 ottobre 2012

Please don’t go, please don’t go, I love you so, I love you so

La casa sul mare

– è da tanto che non lo vedi?
– Tre anni dopo che…
– Dopo la mia morte?
– Tre anni

Il tempo s’era fatto immobile.
Quieta risciacquava un’infelicità
stordita, senza struggimento.

– E tu?
– Oh, io, ma sparuta nebbia tu…
– La neve mi fodera che riposa
algida sul mio ghiaccio come
una sposa, una colomba senza desideri.
Ricordami, tu che mi ascolti
di là da un vetro, di un altro
inverno in attesa per sognarli
monologanti comunque
vivi i tuoi numi.

– Non esiliarmi dalla tua foschia.
Prendila questa mia supplica
estrema. Prendila, ripetila
(non esiliarmi…)
lentamente con me, ripetila.
Come una giovanetta fulgente
piegando a una culla le ginocchia.
Quante (arrossendo) nuvole nei
venti d’inverno avrai
amato torbide scavallando.

Con labbra
velate di notte accennai
increscioso un addio che era
sognava un brillìo sui capelli
radi (ricordo) falcidiati.

da Sguardo dalla finestra d’inverno, Ferruccio Benzoni, All’Insegna del Pesce d’Oro

Non mi è stato possibile scoprire il nome della lettrice del Secolo XIX, autrice della foto

strada per un ritorno a casa, II

La porta è connessa ai rites de passage; “Si attraversa il passaggio, che può essere indicato in molti modi diversi – sia attraverso due aste conficcate nel suolo, che tendono eventualmente a incrociarsi in alto, sia attraverso un tronco spaccato al centro e divaricato..o un ramo di betulla curvato a cerchio…- si tratta comunque di sfuggire a un elemento ostile, di liberarsi di una qualche tara, di affrancarsi da una malattia o dagli spiriti dei defunti, che non possono infilarsi nello stretto passaggio.” Ferdinando Noak, Triumph und Triumphhogen (Conferenze della Biblioteca Warburg, V, Lepzig, 1928, p.153). Chi penetra un passage percorre il passaggio-porta in senso inverso (ovvero si riconsegna al mondo intra-uterino).

da I Passages di Parigi, Vol.I, Casa di sogno, museo, terme, di Walter Benjamin, Einaudi, a cura di Enrico Ganni

 

udii poi campane estesissime

Campanile Santa Croce di Moneglia (GE)

In quel tempo, io tornai più volte, in sogno, a Toledo, e non la riconoscevo. Mi ricordo che ero partita nel pomeriggio, sola, di nascosto al mio amico, e dopo cinquemila anni giunta qui, e Toledo non era più. Solo un mare di cenere, e la Collina, e un angelo grandissimo davanti a poche pietre (resto della Fortezza), che vedendomi disse:
“Non piangere. Il sole non è più qui”.
Discesi in centro e, come dissi, la città più non era, ma una radura sparsa di pietre, grandissima, con alcuni alberi anneriti, e dagli alberi pendevano frutti di veleno. Vi erano uccelli che volavano stancamente qua e là, e riconobbi nelle loro facce(perché avevano faccine bellissime) fisionomie nobili e note. Essi beccavano, beccavano nella rena, senza nulla trovare.
Udii poi campane estesissime, e mi svegliai.
Ero nella mia casa marine, tutte le porte mancavano, dovunque era mesta luce, e né Apa e nessun altro degli abitanti esisteva più.

Dio, quanti giorni restai ad attendere passi cari.
Finché vennero, preceduti da una lettera (d’amore), e di nuovo mi ritrovai nella nostra casa della Francia, e riudii i lamenti del mare.

Quando tutti i nostri affannati racconti di gioia, le voci del ritrovamento, si furono quietati, egli mi disse:
“Vedesti cosa capita, cuore, a ritornare sulla via precedente?”
“Sì, vidi. Ma come farò, caro, a vivere qui, sapendo che essi furono?”
“Eppure si potrà” con pietà egli disse.
E, e piegato sulla mia gamba, tolse dal foro una delle navi di ferro che continuamente apparivano, e in un muto furore la gettò via:
“Non finiranno mai, mai di apparire!” così disse.
In quanto a me, guardavo la mia gamba con terrore.

Eppure guarì, dopo un anno era tornata completamente liscia, e in luogo delle navi vi era un prato verdissimo, dove Reyn A. riposava.
Inesauribile era il nostro tempo, ora che io ero guarita e felice.

da Il porto di Toledo, Anna Maria Ortese, Rizzoli

Sagrato della Chiesa Santa Croce di Moneglia

a mia insaputa

Giulio Aristide Sartorio

Vorrei per una volta tutti
della mia vita i volti s’affollassero,
e uno in particolare contro
l’invetriata senza desideri.
Sorridono e all’implorante
“Vi aspetto, tornate!” –
socchiuso lasciano il battente,
neanche spettasse a me seguirli
(chi qua chi là scomparendo)
o fossi dei loro già, senza saperlo.

da Sguardo dalla finestra d’inverno, Ferruccio Benzoni, All’insegna del pesce d’oro, 1998

far off-shore

Look, the raft, a signal flying,
Thin-a shread;
None upon the lashed spars lying,
Quick or dead.
Cries the sea-fowl, hovering over,
“Crew, the crew?”
And the billow, reckless, rover,
Sweeps anew!

Herman Melville

 

Lontano in alto mare

Guarda, la zattera, un segnale svolazzante,
esile, uno straccio.
Nessuno giace sulle tavole legate,
sveglio o morto.
Urla l’uccello marino planandoci sopra:
“E la ciurma, la ciurma?”
E le onde rabbiose e indifferenti
la spazzano di nuovo.

“Pezzi di mare. Poesie” di Herman Melville, Acquaviva, trad.di Giuseppe D’Ambrosio Angelillo

naviganti

Nella mia giovinezza ho navigato
lungo le coste dalmate. Isolotti
a fior d’onda emergevano, ove raro
un uccello sostava intento a prede,
coperti d’alghe, scivolosi, al sole
belli come smeraldi. Quando l’alta
marea e la notte li annullava, vele
sottovento sbandavano più al largo,
per fuggirne l’insidia. Oggi il mio regno
è quella terra di nessuno. Il porto
accende ad altri i suoi lumi; me al largo
sospinge ancora il non domato spirito,
e della vita il doloroso amore 
.

Umberto Saba

configurazione mergnanese

 

Ai disturbi della memoria, infatti, sono legate le intermittenze del cuore. è sicuramente l’esistenza del nostro corpo, simile per noi a un vaso in cui fosse racchiusa la nostra spiritualità, a farci supporre che tutti i nostri beni interiori, le nostre gioie passate, tutti i nostri dolori, siano perennemente in nostro possesso. Forse, è altrettanto inesatto credere che se ne vadano e ritornino. In ogni caso, se rimangono dentro di noi, rimangono per la maggior parte del tempo in una regione sconosciuta, dove non ci sono di alcun giovamento e dove anche i più usuali vengono ricacciati indietro da ricordi di diversa natura, che escludono ogni simultaneità con essi all’interno della coscienza. Ma non appena si ricostruisce la cornice di sensazioni in cui si sono conservati, essi acquistano a loro volta il medesimo potere d’espellere tutto quanto sia incompatibile con loro, installando in noi, solitario, l’io che li ha vissuti.

(…)

L’io che io ero allora, e che da tanto era scomparso, m’era di nuovo così vicino che mi sembrava ancora di sentire le parole pronunciate subito prima e che, tuttavia, non erano più che un sogno, così come un uomo non ancora ben desto crede di percepire proprio accanto a sé i rumori del suo sogno che svanisce.

da Sodoma e Gomorra- Le intermittenze del cuore, Marcel Proust, Mondadori, trad.di Giovanni Raboni

radicamento nella configurazione


la storia di una bicicletta, di Ribes Sappa

I miei ricordi non sbiadiscono. I ricordi del mio presunto passato sono chiari come gli istanti del presente. Rammento di essermi alzata dal lettino dopo un sonnellino quando avevo un anno e mezzo, con la stessa intensità con cui rammento l’essermi alzata stamattina. ma non si dice sempre che i ricordi diventano meno chiari con il passare del tempo? Tutti questi fatti mi rimangono in mente come eventi singoli; è raro che li pensi in relazione ad altri momenti che li hanno preceduti o seguiti. Mi sembra a volte che la mia memoria sia una roccia sedimentaria, come se tutti i momenti che la compongono si siano compattati, mentre gli elementi di collegamento-il tempo che pensavo li tenesse insieme-sono stati spazzati via dal vento. Sono pensieri che esistono simultaneamente, ma che mi si rivelano a uno a uno. Ho sempre avuto la sensazione che i momenti separati dallo spazio lo fossero più intensamente di quelli percepiti come separati nel tempo. Non mi è chiaro però cosa provochi questo senso di interconnessione: che tipo di relazione può esserci tra i vari istanti? Non una relazione lineare, certo, ma piuttosto una certa empatia tra di loro. In un certo senso,penso ci sia una consapevolezza inconscia del fatto che esistono altri momenti che avvengono simultaneamente, e che ci può essere un riconoscimento reciproco tra istanti in un contesto simile.

da una lettera di Gretchen Mills Kubasiak citata ne La fine del tempo. La rivoluzione fisica prossima ventura, di Julian Barbour, Einaudi