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La vecchia signora che portava a passeggio il suo cane

Una vecchia signora portava a passeggio il suo cane, un soldato sovietico la chiamò, voleva trovare un poco di “umanità” almeno in un cane. La vecchia signora richiamò il cane con un fischio, nemmeno lui doveva collaborare o fraternizzare. Non era crudeltà, era realismo coerente; non era meditato, era naturale. Solo gl’innocenti posso essere così duri gli uni con gli altri. I colpevoli trovano sempre una via traversa per dimostrarsi a vicenda la loro corruzione sotto forma di apparente umanità, che poi non è altro che sentimentalismo. La cattura di un generale, di norma, si configura come un’azione tra gentiluomini. Ma gl’innocenti direttamente colpiti non si possono permettere di questi lussi e si comportano con rozzezza perché pagano di persona.

da Il carro armato puntava su Kafka, in Rose e dinamite. Scritti di politica e di letteratura 1952-1976, Heinrich Boll, Einaudi, 1976, A cura di Italo Alighiero Chiusano

don Lorenzo Milani a Aldo Capitini

“Si sarebbe potuto correre generosamente da un capo all’altro d’Italia e d’Europa e forse anche in India a incontrare tutti coloro che son pensosi dei problemi dei poveri e degli oppressi e leggerci gli uni agli altri i nostri libri e scriver riviste profonde chiedendoci uni agli altri di collaborare e poi riuscire a promuovere provvedimenti legislativi che assicureranno domani la scuola ai poveri e durante tutto questo nostro correre per loro i poveri avrebbero intanto seguitato a zappare per noi”.

don Lorenzo Milani, A Aldo Capitini, 10 luglio 1960, in OO, vol.II., pp.1279-1280

Potersi informare e quindi schierarsi

“Sono abbonato al Giornale del Mattino. Sono abbonato anche a un giornale cattolico francese. Se non avessi avuto il secondo non mi sarei mai accorto sul primo di quel che fa la polizia francese. Non che la notizia non ci fosse, ma era riporta di rado e non vista e in forma dubitativa e senza particolari. Quanto basta per non accorgersene. Oppure accorgersene ma non dargli il suo posto. Accorgersene e non schierarsi.”

Frammento della lettera del 1959  di don Lorenzo Milani a Nicola Pistelli, l’assessore di Firenze vicino a Giorgio La Pira, direttore della rivista “Politica”. La lettera è riportata a p.149 de La lettera sovversiva. Da don Milani a De Mauro, il potere delle parole, Vanessa Roghi, Laterza Editori (2023)

SSM (e Il pigiama di Piantedosi)

“un uomo vuoto, ridotto a sofferenza e bisogno, dimentico di dignità e discernimento, poiché accade facilmente, a chi ha perso tutto, di perdere se stesso”

Primo Levi, I sommersi e i salvati, Einaudi, 1986, p.100 citato da Adriana Cavarero in Orrorismo. Ovvero della violenza sull’inerme, Castelvecchi, 2022 p.55

Il vero scopo della macchina violenta del lager nazista, ma anche degli interventi di Minniti, Salvini, Piantedosi (a favore della criminalità organizzata) “prevale largamente anche sulle finalità economiche di sfruttamento degli internati (o delle persone trasformate in sans papiers) come forza lavoro schiavizzata (…)”.

Subordinando la varietà a un unico nome, a un’unica dicitura generica, si sabota l’esistenza stessa di ogni singola persona

Walter Benjamin scrive in un racconto: “Sull’isola esistono, a quanto si dice, diciassette tipi di fichi. Bisognerebbe conoscerne il nome, osserva tra sé e sé l’uomo che cammina sotto il sole”(1). Ogni specie di fico è quindi unica, non interscambiabile. Tale singolarità impedisce di dare un solo nome a queste diciassette specie di fico. Il termine generico elimina l’individualità, la specificità dei nomi propri. Per via di tale singolarità ogni specie di fico ha un proprio nome, un nome proprio: merita di essere chiamata, invocata con questo nome. Come se il nome fosse un codice istantaneo capace di garantire l’accesso all’essenza, all’essere, come se solo tramite il nome proprio l’atto di chiamare e invocare raggiungesse la propria essenza. Subordinando la varietà a un unico nome, a un’unica dicitura generica, si saboterebbe l’esistenza stessa di ogni singola specie di fico. Si può invocare solo il singolare. Chiamare, invocare il nome proprio è la chiave per esperire in prima persona quella particolare specie di fico. Per l’esattezza, non è una questione di conoscenza, di evocazione. L’oggetto di un’esperienza autentica, cioè dell’invocazione, non è il generico bensì il singolare. Solo questo consente di imparare confrontandosi.

citato in Elogio della terra (Nottetempo, nella trad. di Simone Aglan-Buttazzi), da Todesarten. Philosophische Untersuchungen zum Tod, Byung-Chul Han, Wilhelm Fink Verlag, 1998

1) Walter Benjamin, “Sotto il sole”, in Opere Complete – Vol.5 – Scritti 1932-1933, a cura di E. Ganni, trad. it. di G. Schiavoni, Einaudi, 2003

E quindi, subordinando la varietà a un unico nome, a un’unica dicitura generica, si sabota l’esistenza stessa di ogni singola persona, perché la si priva di realtà.

Dirty mouth

 

I want nothin’
I want it all now
I’ve got a dirty mouth
I’m not gonna wash it out
I’ve got baggage
It’s got big wheels
I’ve got a little dog
Biting at my heels
I’m not gonna heal you
Not gonna make your dreams come true
Don’t touch me
Don’t even look at me
I’ve got laser beams
Coming out my eyes
Do you still really
Wanna mess with me?
Wanna mess with me?
Wanna mess with me?
I got tough ’cause I had enough
I was a girl with a big heart
And they really roughed me up
My body fell asleep
When they took it away from me
But I got it back
Now I do what I like with it
Do what I like with it
Do what I like with it
Yeah
Show me your soft spot
Have some pillow talk
Your sweat tastes salty
Your brakes are faulty
Watch the sky, don’t feel shame
Talking back, don’t feel shame
Saying no, saying no, saying no
Dressed up, letting go, letting go
Dirty mouth, don’t feel shame
Stepping out of the frame