In via Orazio avrei voluto andarci insieme, oggi, in pace e dopo mesi di pace, vincitori con mano dorata e contro un nemico comune.
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TAT test: giocando con Ingeborg
The meaning of your responses
This project is designed to give you information about both language use and personality assessment. The picture you were asked to describe came from the Thematic Apperception Test, or TAT. The purpose is to see how individuals reveal parts of their own personalities while looking at an ambiguous picture. The words that you used were analyzed using the LIWC (Linguistic Inquiry and Word Count) program developed at the University of Texas and University of Auckland in New Zealand. If you would like to get more information on LIWC, go to www.liwc.net.
Otto Kranewitzer, il postino di Klagenfurt
Io: Da allora so cosa è il segreto postale. Oggi sono già in grado di figurarmelo perfettamente. Dopo il caso Kranewitzer ho bruciato la mia posta vecchia di anni, poi ho cominciato a scrivere lettere completamente diverse, per lo più a tarda notte, fino alle otto del mattino. Ma per me contano solo quelle lettere che non ho mai spedito. In questi quattro, cinque anni debbo aver scritto circa diecimila lettere, per me sola, dove c’era tutto. Molte lettere non le apro nemmeno, cerco di esercitarmi nel segreto postale, di elevarmi al livello del pensiero di Kranewitzer, di comprendere cos’è l’illecito, quell’illecito che potrebbe essere costituito dal leggere una lettera. (…)
Malina: Perché ti sta tanto a cuore il segreto postale?
Io: Non per via di questo Otto Kranewitzer. Per me. Anche per te. E all’università di Vienna ho giurato su quella mazza. Fu il mio unico giuramento. A nessuno, a nessun rappresentante di una religione o di una politica sono stata mai capace di giurare. Già da bambina, quando non riuscivo a difendermi altrimenti, mi ammalavo subito gravemente, avevo delle vere e proprie malattie con la febbre alta, e non mi si poteva costringere a giurare. Tutti quelli che hanno fatto un solo giuramento lo sentono pesare di più. Più giuramenti si possono violare, ma uno solo no.
(pp.214 e 215 ) Malina, Ingeborg Bachmann, Adelphi, trad. di Maria Grazia Manucci
“Quando una donna dice a un uomo, ti strozzo, si tratta di una metafora, perché non ha a forza di farlo. La sua rabbia si rivolge dunque contro se stessa: ogni suicidio è un omicidio spostato. L’odio che non trova espressione diviene una tossina mortale, provoca un avvelenamento”
di Giannina Longobardi da Chi cade ha ali. Una lettura di Ingeborg Bachmann
l’uniforme
Lei (Karolina von Guenderrode): “Quel che pensiamo abbastanza a lungo e sovente non fa più nessuna paura”
Lui (Kleist): “Nessuno conosce una regione che ha attraversato soltanto in uniforme”
(…)
Ci sono uccelli qui che fra grida spaventose si levano improvvisamente in volo da un salice quando loro vi passano davanti. La Guenderrode gli posa la mano sul braccio. Loro sanno che non vogliono essere toccati. Al tempo stesso provano un rimpianto, una pietà per il linguaggio represso dei loro corpi, una tristezza per l’addomesticamento precoce che l’uniforme e l’abito dell’ordine hanno imposto alle loro membra per la disciplina in nome del regolamento, per gli eccessi segreti in nome della sua trasgressione. Bisogna proprio essere fuori di sé per conoscere il desiderio di strapparsi gli abiti di dosso e di rotolarsi su questo prato?
(…)
Ciò che sappiamo desiderare deve essere alla portata delle nostre forze, pensava (K.) (…).
pp. 13, 21 e 95, Nessun luogo, da nessuna parte, Christa Wolf, Edizioni e/o, trad. di Maria Grazia Cocconi e Jan-Michael Sobottka
Verrà il giorno in cui donne e uomini si guarderanno fraternamente
Quali saranno i futuri, possibili modi, della convivenza uomo-donna, ciò che rimane vero, sostanziale, tormentoso, di tutto il suo (di de Rougemont) discorso, è la necessità di un contromodello per positivo rispetto al patologico modello per negativo su cui oggi ancora tanto inerzialmente viviamo.
Non a caso mi sembra di vedere affiorare questa speranza di vivere l’amore in uno slancio che, mentre lo coinvolge, va oltre il rapporto privato, supera l’individualismo, si dirige e impegna verso un rinnovamente totale dei rapporti fra gli uomini, un mutamento di civiltà. E come altrimenti potrà la donna inserirsi nella controproposta, apportando anch’essa all’invenzione e realizzazione positiva dell’amore le sue potenzialità finora inespresse?
Come, se non in un radicale mutamento di cultura, in un radicale congedo dal mito di Isotta e Tristano?
L’amore positivo, se si vuole veramente spezzato quell’egotismo chiuso che de Rougemont depreca, non può essere un ideale individualistico, una partita a due. Implica, invece, tutta una tensione etica, e anche una tensione verso un mito nuovo e diverso, le quali non possono certo oggi essere “ricaricate” all’interno del cristianesimo, legato a vecchi miti negativi, come quello della disuguaglianza originaria della donna; e compromesso, col cattolicesimo, nella politica procreatrice che nega l’amore in tutta la sua carnale e sensuale profondità e libertà; e tuttora compromesso, proprio sotto quest’aspetto, dal suo spiritualismo, dalla sua incombente e irrinunciabile, nozione del peccato e della repressione.
(…)
Ma solo, per intanto, e in attesa di un mutamento profondo sia delle strutture sociali che dei rapporti umani logori e ingiusti, solo una profonda tensione dell’essere verso questo mondo da realizzarsi può suggerire modalità positive dell’amore convissuto fra uomo e donna.
(…)
Un’altra voce a una donna ha detto, una voce tesa al futuro:
(…) Io credo che un giorno ti potrò dire ‘pane’ e tu capirai bene tutto ciò di cui è carica in me questa parola, perché io spero che quel giorno il nostro pane non sarà né magico, né mistico, né estetico, ma sarà quel pane che mangeremo tu ed io ogni volta che avremo fame. Io penso che questa sia la prima condizione per poter comunicare fra noi. La seconda, è mangiarlo insieme, questo pane…”
dall’introduzione di Armanda Guiducci a L’amore e l’occidente. Eros morte abbandono nella letteratura europea di Denis de Rougemont, Rizzoli, BUR
Modestine
Le vacanze che vorrei, insieme a M. e a E.,
da Napoli a chissà dove e senza fretta.
Lamento dei contrasti malinconici e letterari
Si può ancora amare, ma darsi con tutta l’anima
è una felicità che non si ritroverà mai più.
Corinne ou l’Italie
Lungo un cielo crepuscolaceo
Una campana angelisuzza in pace
L’aria esiliescente e matrigna
Che non perdonerà mai.
Laggiù, sul pendio dei bastioni,
Si profila una rozza-
Convalescente che bruca
Cocci di stoviglie; si fa tardi.
Chi m’ha amato mai? Io m’ostino
Su questo ritornello davvero impotente.
Senza pensare che son davvero sciocco
A farmi cattivo sangue.
Ho un fisico decente,
Un cuore di bimbo beneducato,
E per un cervello magnifico
Il mio non è male, sapete?
Ebbene, dopo aver pianto sulla Storia,
Ho voluto vivere un tantino felice;
Era domandar troppo, s’ha da credere;
Avevo l’aria di chi parla ebraico.
Ah, cuore mio, di grazia, lascia perdere!
Quando ci penso, in verità,
Mi vengono i sudori della spossatezza,
Roba da sprofondar nella sporcizia.
E tuttavia il cuore mi scalpita di genio
Perdutamente, mio Dio!
E se qualcuna vuole la mia vita,
Io non domando di meglio!
Ma va’, povera anima veemente!
Tuffati, essere, nei loro apatici Giordani,
Due frizioni di vita corrente,
e presto sarai esorcizzato.
Ahimè! chi me ne può rispondere?
Toh, sapete voi forse
Cos’è un’anima ipocondriaca?
Io ne ho una, e di prezzo modico.
Elena, io vago per la stanza;
E mentre tu stai prendendo il tè (o choppi egusi soup),
Laggiù, nell’oro d’un fiero settembre,
Rabbrividisco in tutte le membra,
Preoccupato della tua salute.
Mentre, dall’altra parte…
da Les Complaintes, in Poesie e prose di Jules Laforgue, Mondadori, a cura di Ivos Margoni
E., la strada per il pozzo è quella a scendere che trovi dopo la macchia di ginestre.
mea culpa
Secondo la formula indiana l’uomo pianta il seme e non bada alla sua crescita. Il seme germoglia e matura, e allora ciascuno deve mangiare del frutto del proprio campo. Non solo le nostre azioni, ma anche le nostre omissioni diventano il nostro destino. Anche le cose che non abbiamo saputo volere sono annoverate tra le nostre intenzioni e i nostri successi, e possono svilupparsi dando luogo a eventi di grande importanza. Tale è la legge del karma. Ciascuno diviene il proprio carnefice, ciascuno la propria vittima, e, esattamente come nel caso di Abu Kasem, il proprio zimbello. La risata del giudice è la risata che i diavoli all’inferno rivolgono ai dannati, che hanno pronunciato la propria sentenza e bruciano nel proprio fuoco.
dal racconto La babbucce di Abu Kasem, in Il re e il cadavere. Storie della vittoria dell’anima sul male, Heinrich Zimmer, Adelphi, a cura di Joseph Campbell
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