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cara Sidi

Manuele Fior

22/23 novembre 1914

Cara Sidi,
la domenica l’ho trascorsa dormendo. Oggi hai avuto la mia lettera e hai sospirato sotto i miei assalti. Sono convinto oggi che la condizione dell’umanità è insanabile. E che noi due non siamo ancora lapidati è l’unico miracolo che accade ora.

da Lettere d’amore, Karl Kraus, Lucarini Editore, a cura di Paola Sorge


Karl Kraus e Sidonie Nadherny von Borutin

la grazia


Campo di grano, Luigi Bartolini

E per chi, se non per te, io provo amore?
E stringo, chiuso al petto, il libro estremo
Del sommo tra i sapienti, in me nascosto giorno e notte?
Nell’incerta luce di una sola certa verità,
Eguale per mutevolezza alla luce
In cui t’incontro, e riposiamo,
Per un istante al centro di noi stessi,
La fulgida trasparenza che tu emani è pace.

da Note verso la finzione suprema, Wallace Stevens, Arsenale Editrice, a cura di Nadia Fusini

zelah


Nudo rosso, Renzo Vespignani

– tu ti aprivi.
-…
– tu ti aprivi in un turbine di insetti di caldo.
– uno zampillo di seta. una scia. quel che è uscito da te.
– vuoi che lo asciughi?
– è già cosa vecchia. è un calmante.
– hai sete?
– ho sete.
– champagne o birra?
– birra.
– hai fame?
– ho fame.
– patè ai tartufi o patè di campagna?
– patè di campagna.
– i panini o un pezzo di pane?
– un pezzo di pane.
– dove siamo?
– in rue vaugirard.
– che cosa c’è?
– degli assiti.
– solo degli assiti?
– hanno acceso un fuoco. riscaldano le loro gamelle.
– hai visto il fuoco?
– fra le gamelle.
– torna qui.
– non mi domandi se piove?
– non starebbero intorno al fuoco.
– vuoi mangiare subito?
– …
– ti sto parlando! dove sei? chi sei, d’improvviso?
– Te. Te contento di te. Mangiamo.
– parliamo con la bocca piena. non dobbiamo lasciar perdere nulla.
– una pienezza. un raggio di sole dopo un cataclisma.
– un nulla. che acquieta.
– sono distesa. non mi muovo. sono tutta un ruscello in corsa.
– io mi spando e non desidero nulla. sono l’aria intorno.
– hai fiducia, agnellino mio, appena nata.
– l’universo è un lago.
– io ti tengo fra le mie braccia.
– tu rabbrividisci. tremi.
– è questa luce…sei tu che l’hai messa in me. a volte torna.

da Il taxi, Violette Leduc, ES, trad. di Angelo Morino

perché non guardi

Perché non guardi quasi mai dalla finestra
giù chi per la strada passa
che è così bello?
Io da quando abito qui a pian terreno
come seguo tutti e immagino
e che bellezza poi
quando uno guarda fin dentro il giardino
e non fa finta di niente ma persino sorride!

(ma lo sai poi davvero che ho cambiato casa?)

da L’amore mio è buonissimo, Vivian Lamarque, Quaderni della Fenice, Guanda 1978

 


Borgo San Giuliano, Rimini

tramuntana


karl wilhelm diefenbach

Ci eri jentu te jernu,
na fridda tramuntana

ca te scela li mani
e te taja la facce
e te face stringire
le spaddhe tremulanti
a ritmu cotulante
te pete pizzacatu.

E ca tie si’ propriu comu stu jentu
ca prima te mmoddha l’occhi bruscianti
e poi li ssuca cu manu materna,
e cchiu’ me lliccu li musi siccati
e cchiui, tispiettusa, tie mme li rumpi
a mozzacate cu tenti te jacciu.
E propriu comu stu jentu te jernu
ca me sentu rrussacare li mili
quandu me teni ‘mbrazzatu e de fronte
stringendu lu musu an facce me fiati,
e propriu comu stu jentu te jernu
te tramuntana, signura e luntana,
ca ogne mmatina con calma se azza,
e alla sera appena cala lu sole,
vave acchia addhute cu sse corca ‘mprima,
quandu la notte ha stutatu le luci
e stendu la manu te costi mmie,
ttantandu lu lettu, tie nun ci sinti.
Addhunca stai, bonanotte cu aggi,
beddha signura te jentu te jernu

David Della Rossa

 

av, ricorda

Terra e mare, Francesco De Nittis

“Ricorda il giorno di shabbàt”: certo che mi ricordo, lo aspetto una settimana intera, pensò qualcuno, indolenzito ancora dai turni di fatica d’Egitto e incredulo di trovarsi liberato dai lavori forzati.
La divinità non si riferiva a quello. Intendeva: ricorda il primo giorno di shabbàt del mondo, quando Elohìm cessò la sua manifattura. Come poterlo ricordare? La cellula di partenza della specie umana era presente. Quei due primi, Adàm e Havà, hanno ascoltato l’improvviso silenzio dell’arresto. Era il giorno sesto del creato ma per loro era il giorno uno. Venne sera e silenzio, si spalancò la notte e si sdraiarono sotto. non sapevano se sarebbe tornato un altro giorno e la sua luce. tutto era nuovo per loro e tutto era già apparecchiato intorno. Seppero che ogni cosa li aveva preceduti, la vita intera esisteva già prima di loro due. Seppero in quel primo buio di essere ospiti.
Era finita l’opera, ma a completarla e darle perfezione ci voleva la settima, che in musica si chiama dominante. Il mondo era stato creato con un arrangiamento musicale, le sue regole rispondono alla combinazione di tempi, toni, diesis e bemolle. La coppia ultima nata intendeva le più vaste frequenze, il basso continuo del creato.
Quella sera il mondo si interruppe, come un principio di sordità all’orecchio. Succede anche a chi passa alla penombra da una forte luce. Lentamente distinsero il silenzio del primo shabbàt del mondo. Era bonaccia a mare, la fogliuzza che non tremola più, il vapore che sale dritto dalle narici dei bufali, i loro occhi tranquilli: anche per gli animali quello era il primo sabato, ma loro lo aspettavano.
Ricorda la prima notte dei nostri primi due, si mischiava l’amore allo spavento, la risposta insieme alla domanda. Erano nudi, si protessero abbracciandosi i corpi, la testa nella spalla dell’altro nell’incavo accogliente tra la scapola e il collo. Scoprivano l’incastro che permette a due corpi di fare l’unità. Fu la prima scoperta della conoscenza, senza la distinzione ancora del bene e del male. Quella prima notte profumava di creato spento. L’amore accelerava l’esperienza, faceva succedere tutto in una notte. E che notte, la prima: non erano stati bambini, l’amore fu il primo dei giochi. Passarono dalle risate al solletico, alla concentrazione di frugarsi. Mentre si strofinavano felici si urtarono le labbra. Stupiti si scansarono, poi le riaccostarono. Si chiusero gli occhi da soli, la vista e tutti i sensi accorsero alla bocca. Nacque per accidente allegro il primo bacio. Al termine del gioco erano arrivati al bacio mille.
Ricorda il giorno di sabato, iniziato la sera del sesto, prolungato nell’insonnia amorosa, nel breve sonno sazio, nel risveglio a giorno canterino. Quello è shabbàt, di quello avrai ricordo. Le donne sotto il Sinai guardarono i mariti, gli uomini si voltarono verso di loro, chiamati da quegli occhi. Che giorno è oggi? Facciamo che è già il sesto, che stasera è shabbàt.

da E disse, Erri De Luca, Feltrinelli

  

quando il testo offre in figura il suono


Alphabet, Robert Mapplethorpe

Il silenzio con cui le parole ci confrontano – perché è vero, le parole scritte tacciono, non più udibile è la voce che le ha pronunciate- non fa che ripetere il silenzio del mondo. Perché anche le cose tacciono; e tuttavia il mondo è pieno di suoni, e tutto ha la sua voce. È solo questione di ascolto, ma disciplinando l’orecchio potremo finalmente raggiungere quell’attenzione dell’anima che ci farà udire, nelle lettere mute della scrittura, la voce -lì dove la lettera si ricongiunge ad un corpo.

da Nomi, Nadia Fusini, Feltrinelli

gli elementi terrestri

POEMA PRIMO
(Possessione del sogno)

Vieni,
mio Amato,

ti gusterò felice,
ti sognerò al mio fianco, questa notte.

Sarà il tuo corpo fertile confine
al mio sgorgare nella tua agonia;
e giacché siamo pieni di cordoglio
il mio amore per te, nato al tuo seno,
ama il tuo labbro più di ogni altra cosa.

Vieni,
mangiamo all’ombra del mio cuore.

Prima di me ti si aprirà il mio corpo
come mare precipite e rigonfio
di pesci, sino all’ora del crepuscolo.
Perché sei bello, tu,
fratello mio,
eerno mio dolcissimo.

La tua cintura, palpebra del giorno
che ogni cosa ricolma del suo odore,
il tuo voler amarmi,
in fretta, adesso,
inondando d’un tratto la mia anima,
il tuo sesso aurorale che comincia,
ove riposa il ciglio
del mondo, e si dilata.

Vieni,
ti proverò con allegria.

Come fascio di lumi, la voce tua ai miei piedi.

Discorreremo insieme del tuo corpo
con purissimo giubilo,
come i bambini insonni dal cui moto
fu scoperto, da poco, un altro bimbo
e denudato al suo incipiente arrivo,
e noto nella sua futura età, forma totale, priva di diametro,
nella sua più immediata corrente genitale,
privo di fonte, contenuto, solo.

Vieni,
ti proverò con allegria.

Tu sognerai d’esser con me, stanotte,
e allaccerai fragranze cadute al nostro labbro.

Ti colmerò di allodole e di lunghe
settimane profonde, denudate.

Eunice Odio, Poesia n.259 Aprile 2011 Crocetti Editore, trad.di Cristina Sparagna