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sulla lettura


Balbec

 

Esiste un margine di mistero, nel procedimento artistico, che nessuna critica e nessuna filologia riusciranno mai ad annullare del tutto. Della realtà, nella sua metamorfosi estetica, qualcosa si perde, qualcosa si altera, qualcosa si invera: tutto si stilizza cristallizzandosi nella convenzione formale, tutto lievita nell’affabulazione, nulla di ciò che era immediato rimane tale. Di fronte all’opera d’arte si danno pertanto due atteggiamenti fondamentali: uno di abbandono alla sua pienezza, e uno di curiosità analitica. Per chi Combray resta un luogo ideale dello spirito o un pezzo della propria carne o un flatus musicale è incomprensibile che ci siano stati uomini che, Recherche ed epistolario di Proust alla mano, abbiano girato la Francia per determinare l’esatta ubicazione e denominazione di quel luogo. Eppure è inevitabile, che nella difficoltà di comprendere come sia stata realizzata l’opera, qualcuno cerchi di scoprire almeno alcuni ingredienti originari.

da I demoni e la pasta sfoglia, Michele Mari, Quiritta

 

Illiers-Combray, il sentiero dei biancospini

naufragi

Francesco Balsamo

Paul Celan a Ingeborg Bachmann, Parigi 16.2.1952

Cara Ingeborg,
poiché mi è così difficile rispondere alla tua lettera, ti scrivo soltanto oggi. Non è la mia prima lettera per te da quando cerco una risposta, ma spero che infine questa sia la lettera che davvero ti mando.
Questo è quanto voglio dirti: non parliamo più di cose perdute per sempre, Inge – esse riaprono soltanto la ferita, suscitano in me collera e fastidio, resuscitano il passato – e questo passato così spesso mi sembrava una colpa, lo sai, te l’ho fatto sentire, capire -, fanno affondare tutto in un buio, sopra il quale bisogna stare a lungo accovacciati per riportarle alla luce, l’amicizia si rifiuta ostinatamente di intervenire in nostro aiuto -, come vedi accade il contrario di quanto desideri, tu crei, con poche parole che il tempo disperde davanti a te non proprio a breve distanza l’una dall’altra, quelle oscurità che devo giudicare severamente proprio come un tempo ho fatto con te.
No, non rompiamoci il capo per ciò che non ritornerà più, Ingeborg. E ti prego, non venire a Parigi per me! Ci faremmo soltanto del male, tu a me e io a te – e perché mai, ti chiedo?
Ci conosciamo abbastanza, per renderci conto che fra noi può restare solo l’amicizia. L’altro è irrimediabilmente perduto.
Se mi scrivi, so che a questa amicizia tu tieni un poco.

Ancora due domande: il dott. Schoenwiese non ha più interesse a fare una trasmissione con le mie poesie? Milo non mi ha scritto, dunque anche dell’invito per la Germania non se ne fa nulla?
Da Hilde Spiel ho ricevuto da circa due mesi fa una lettera genitle, questo è tutto finora: non ha risposto a una mia lettera nella quale le chiedevo se potevo ancora sperare di trovare un editore. Soffro molto per questa faccenda delle poesie, ma nessuno mi aiuta. Tant pis.

Fatti sentire di nuovo, Inge. Sono sempre felice, quando scrivi. Sono felice davvero.

 

Ingeborg Bachmann a Paul Celan, Vienna, 21.2.1952

Caro Paul,
ieri ho ricevuto la tua lettera del 16. – grazie. Scusa, però, se ti faccio alcune domande alle quali non dovrebbe esserti difficile rispondere, se credi alla possibilità di un’amicizia fra noi.
Non voglio porti di fronte a nuovi problemi e pretendere da te di riprendere il nostro legame dal punto in cui lo abbiamo interrotto. Non verrò a Parigi per te. Ma non è escluso che io venga lo stesso, un giorno o l’altro – è quasi normale per il mestiere che faccio. E vorrei chiederti, per evitare malintesi, se vuoi sapere quando vengo e, in tal caso, se hai intenzione, eventualmente, di venire a prendermi, oppure no? O ti secca rivedermi? Non arrabbiarti se te lo chiedo, ma la tua lettera mi ha reso molto insicura, ti capisco e non ti capisco; ho sempre saputo quanto era difficile, – il tuo disgusto e la tua “rabbia” sono comprensibili – ciò che non capisco, questo dovevo dirlo una buona volta – è questo terribile rifiuto alla riconciliazione, “il non perdonare e non dimenticare mai”, questa terribile diffidenza che sento verso di me.
Ieri, mentre leggevo e rileggevo la tua lettera, mi sono sentita una miserabile, tutto mi è sembrato senza senso e inutile, il mio impegno, la mia vita, il mio lavoro. Non dimenticare che le “oscurità” che tu condanni in me, sono una conseguenza del mio parlare nel vuoto. Non ho più la possibilità di riparare e questo è il peggio che possa capitare. La mia situazione diventa sempre più desolata. Ho puntato tutto su un’unica carta e ho perso. Ciò che sarà di me dopo mi interessa poco. Da quando sono ritornata da Parigi, non sono più capace di vivere come ho vissuto prima, ho disimparato la curiosità per il nuovo, non lo voglio neanche più, non voglio assolutamente più nulla. E non temere che io ricominci a parlarne – voglio dire delle cose passate.
Parlaiamo dunque d’altro: Schoenwiese porterà le tue poesie – la prossima settimana viene a Vienna e io sono certa che nelle trattative tra il suo e il nostro studio questo “punto” sarà risolto positivamente. I ritardi non hanno nulla a che vedere con te o con noi, ma dipendono da difficioltà esterne. La stazione radio ha appena superato una grave crisi, alcune cose sono cambiate – e in ogni momento sono sorti tanti problemi di natura tecnica, che gravano su una grande azienda, e questo ha protato a trascurare il lavoro vero e proprio. invece, trovo più triste che Hilde Spiel non faccia sapere nulla di sé. Ma tu non lasciarti scoraggiare! La cosa non deve toccarti.
Cerca, ti prego, di non dimenticare mai che noi – Nani, Klaus e tanti altri – pensiamo sempre a te e che un giorno uno di noi avrà le mani libere e acquisterà tanta influenza da volgere tutto al meglio.
Ingeborg

da Troviamo le parole. Lettere 1948-1973, Ingeborg Bachmann, Paul Celan. Nottetempo

configurazione monegliese

 

Passato, futuro, ora, giorno, mese, anno: sono tutt’uno per me. Le varie fasi dell’infanzia e della maturità sono per me nient’altro che parole inutili. Significano qualcosa solo per la gente comune, per la marmaglia-sì, questa è la parola che cercavo- la marmaglia, per cui la vita, come l’anno, ha i suoi periodi definiti, le sue stagioni, e si inserisce nella zona temperata dell’esistenza. Ma la mia vita ha conosciuto sempre una sola stagione e un solo modo di essere.

da La civetta cieca, Sadègh Hedayat, Feltrinelli

“quant’è, dottò?” “300,00 euro”

La rarità del genio non è stata, nelle intenzioni del creatore, un motivo per cui la società si mettesse in ginocchio davanti all’uomo dotato di facoltà eminenti, ma un mezzo provvidenziale perché ogni funzione fossa assolta con massimo vantaggio per tutti.
 
Il talento è una creazione della società molto più che un dono della natura; è un capitale accumulato e colui che lo riceve ne è soltanto il depositario. Senza la società, senza l’educazione che essa dà e senza il suo aiuto poderoso, il temperamento più bello resterebbe – anche nel campo che deve esaltarlo- al di sotto delle capacità più mediocri. Più vasto è il sapere di un uomo, più bella è la sua immaginazione, più fecondo il suo talento, più costosa ancora è stata la sua educazione, più brillanti e numerosi furono i suoi predecessori e i suoi modelli, maggiore è il suo debito.

da Che cos’è la proprietà, Pierre-Joseph Proudhon

Sor Lurè, avevi ragione tu…

la chiocciola

 

Le vive, le eterne
colonne di luce
ti reggono, o terra,
sul gurgite d’aria,
te, piccola sfera,
sostengono in cima
al duomo dei mondi.

Discendono i cieli
nell’architettura
sacrata del cosmo
per lunga spirale,
in fughe di scale
che girano avvolte
la chiocciola enorme;

e giungono al fondo
del tempio vivente
laggiù dove dormono
in tombe di sonno
supini gli dei.

da Linea della vita, Giorgio Vigolo, Mondadori

once upon a time…


Notte a Piazza Nuova, Aldo Burattoni

Once upon a time, her house was the spit of mine.

Men fall for terrible weirdos in a dumb way more and more as they get older; my old man, fond of me as he constantly was, often did. I never give it the courtesy of my attention.

For here we are in the present, which is happening now, and I am a famous widow babysitter for whoever thinks I am unbalanced but within reason. I am a grand storybook reader to the little ones. I read like an actress, Joan Crawford or Maureen O’Sullivan, my voice is deeper than it was.

da Enormous changes at the last minute, Grace Paley, The Noonday Press

 


Cappuccetto rosso playing cards

Fernando Milagros scoperto grazie a Foglia

Primavera, è tardi


al Gran Sasso, foto di Lorenzo Gramaccioni

Amore che mi guardi

da muri ciechi, scendi da specchiere
nere, mi scuoti: – Primavera è tardi,
corri, che l’azalea vuole sfiorire.-
– Dove mi chiami, rosa, non ho voglia,
ho sonno e sono stanco di partire.
La scena è pronta, affàcciati alla soglia
dei tuoi armadi. Ridammi il lampo scuro,
il gambo della breve fioritura.-
L’urlo del fiore che stanotte è solo.

da Stanze sulla polveriera, Pietro Cimatti, Rusconi

storia di Isacco

La porta si aprì lentamente,
mio padre entrò,
avevo nove anni.
Si fermò, tanto alto nei miei confronti,
con gli occhi blu che luccicavano
e la voce molto fredda.
Disse:”Ho avuto una visione,
e tu sai che sono forte e santo.
Devo fare quello che mi è stato detto”.
Così partì per la montagna,
io correvo, lui camminava,
e la sua scia era fatta d’oro.

Gli alberi rimpicciolivano,
il lago somgiliava a uno specchio di donna,
ci fermammo a bere un po’ di vino.
Poi gettò la bottiglia,
la ruppe un minuto più tardi
e mise la sua mano nella mia.
Benché avessi visto un’aquila
(ma poteva essere un avvoltoio)
non avrei mai potuto decidere.
Allora mio padre costruì un altare,
guardò una sola volta dietro di sé.
Sapeva che non mi sarei nascosto.

Tu, che costruisci altari, oggi,
per sacrificare nuovi figli,
non devi farlo mai più.
Uno schema non è una visione
e non sei mai stato tentato
da un demone o da un dio.
Tu che stai sopra di loro, adesso,
con la accetta spuntata, sanguinante,
non eri là, prima,
quando io giacevo su una montagna
e la mano di mio padre tremava
con la bellezza della parola.

E se tu ora mi chiami fratello,
scusa la mia domanda,
per quale macchinazione lo fai?
Quando ogni cosa diventa confusa
ti ucciderò se così devo,
ti aiuterò se posso.
E pietà per la nostra uniforme,
uomo di pace e uomo di guerra –
un pavone apre la sua ruota.

da Songs from a Room, Leonard Cohen, 1969, trad.di Riccardo Bertoncelli

e all’ultima porta

Ribes Sappa

 

E all’ultima porta,
al penultimo passo,
quando ancora il pensiero
se spunta ha un dove per ritornare,
un attimo prima che il cielo
si sveli per sempre o si copra
non lo daresti un seme
della tua eternità
per ritornarci sopra,
non cercheresti il fiato
per poche parole diminuite
tipo buongiorno quattro tre sì d’accordo mi
sentite?

da Il bene materiale, Paolo Febbraro, Scheiwiller