Caro Signor Stevens

Caro Signor Stevens,
vorrei dirle in che senso io trovo che lei sia distante da Eliot (pur conoscendolo pochissimo e forse proprio a causa del vostro divergere).
Eliot giura che “è la fine!”, quando lei si meraviglia che sia “l’inizio!”.
Eliot ha dimora nel paese guasto e invece lei, Signor Stevens, ho ben inteso (Note verso la finzione suprema ) che quando si trova a passeggiare al parco canta “Amor che nella mente mi ragiona”(1) … e persino nella autunnale/invernale poesia La pianta verde (2), fa del barbaro verde il trionfo!
Avrei voluto dirle questo.

(1)

Prologo

E per chi, se non per te, io provo amore?
E stringo, chiuso al petto, il libro estremo
Del sommo tra i sapienti, in me nascosto giorno e notte?
Nell’incerta luce di una sola certa verità,
Eguale per mutevolezza alla luce
In cui t’incontro e riposiamo,
Per un istante al centro di noi stessi,
La fulgida trasparenza che tu emani è pace.

(Traduzione di Nadia Fusini)

(2)

La pianta verde

Il silenzio è una forma passata.
Le rose leonine di Otu-bre sono divenute carta
E le ombre degli alberi
Ombrelli disastrati.

Il vocabolario sfibrato dell’estate
Non dice più niente.
Il marrone nel fondo del rosso,
L’arancio giù in fondo al giallo,

Sono falsificazioni di un sole
Che si specchia, senza calore,
In una costante secondarietà,
Un declinare verso il termine –

Se non che una pianta verde fiammeggia, se guardi
La leggenda della foresta castana e olivastra,
Fiammeggia, fuori leggenda, col barbaro verde
Della fiera realtà cui appartiene.

(Traduzione di Massimo Bacigalupo)

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