Come Shelley e Whitman, (Wallace Stevens) era un poeta lucreziano e celebrava un cosmo incentrato sull’inevitabilità dell’entropia e della morte. Sebbene questa sembri una concezione poco gioiosa, in Stevens vi è una gioia epicurea accompagnata da un’esuberanza linguistica simile a quella delle shakespeariane Pene d’amor perdute.
Alla mia veneranda età, mi lascio commuovere soprattutto dall’elegante semplicità di Stevens, che ci fornisce la più convincente difesa contemporanea della poesia:
Da questo nasce la poesia: che viviamo
in un luogo non nostro, e che non siamo noi,
ed è arduo, ad onta dei giorni d’orifiamma.
da Il genio. Il senso dell’eccellenza attraverso le vite di cento individui non comuni, Harold Bloom, Rizzoli