12 luglio 1820

mira

Il sentimento della nullità di tutte le cose, la insufficienza di tutti i piacer a riempirci l’animo, e la tendenza nostra verso un infinito che non comprendiamo, forse proviene da una cagione semplicissima, e più materiale che spirituale. L’anima umana (e così tutti gli esseri viventi) desidera sempre essenzialmente, e mira unicamente, benché sotto mille aspetti, al piacere, ossia alla felicità, che considerandola bene, è tutt’uno col piacere. Questo desiderio e questa tendenza non ha limiti, perch’è ingenita o congenita coll’esistenza, e perciò non può aver fine in questo o quel piacere che non può essere infinito, ma solamente termina colla vita. E non ha limiti 1. nè di durata, 2. nè per estensione. Quindi non ci può essere alcun piacere che eguagli 1. nè la sua durata, perché nessun piacere è eterno, 2. nè la sua estensione, perché nessun piacere è immenso, ma la natura delle cose porta che tutto esista limitatamente e tutto abbia confini, sia circoscritto. Il detto piacere non ha limiti che per durata, perché, come ho detto non finisce se non coll’esistenza, e quindi l’uomo non esisterebbe se non provasse questo desiderio.

dal Pensiero 165 dello Zibaldone, Giacomo Leopardi

Non vorrei crepare senza (cit. Boris Vian):

– aver letto tutti i libri di Giovanni Amelotti (escluso Il Leopardi maggiore, che possiedo);

– aver compiuto un viaggio fino a Recanati nel 12 luglio 1820 (una volta arrivata là, saprei arrangiarmi);

– RD 70 → ∞ ;

– essere riuscita a trovare e vedere a Moneglia il quadro di Luca Cambiaso  in una inarrivabile sagrestia

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