le feste in libreria

A Linuccia

 Trieste, 2 dicembre (ma gennaio) 1953

Mia cara Nucci, ti mando alcune cartoline della zia Regina, anche quasi a caso, nelle quali ho sottolineate le parole che ti riguardano.
Natale non è andato tanto male; ma ieri è stata una giornata atroce: tutto colpa quella strega della quale ti ho parlato al telefono, e, più ancora, mamma, che dava a me la colpa di tutto e, dopo tutto quello che avevo fatto perché passasse un buon primo dell’anno, è venuta in camera mia la mattina, dopo una notte per entrambi insonne, a farmi i più pungenti rimproveri per il mio contegno, ecc. Il mio contegno consisteva solo nell’aver parlato male con Goldstein delle feste, degli auguri, della mancanza d’immaginazione della gente che li fa a fuoco continuo, ecc. ecc. (Ero esasperato della giornata in Libreria, dei “buon fine e buon principio” ecc.ecc.); e quando, arrivato a casa, per mangiare le solite due uova in pace con mamma, ho sentito suonare la porta di casa. Erano Goldstein e sua moglie con in mano uno scovolo (1). Non dissi nulla contro di lei: dissi solo che anche il suo parente, il dott.Corsi, odia le feste e gli auguri. Lei capì (deve essere matta del tutto) che…il dott.Corsi aveva parlato male di lei a me. E a mamma si può ancora lasciare il portafoglio degli interni, ma non quello degli esteri (2).
A Carlo (benché non abbia risposto all’ultima mia) scriverò probabilmente oggi stesso per i ricordi-racconti.
Saluta Nello. Sono il tuo

papà

(1) In triestino la parola indica anche, per estensione scherzosa, un mazzo di fiori

(2) Saba tornerà sull’argomento in una lettera a Linuccia del 5 gennaio “Mamma sta bene; ma – come ti ho detto – mi ha completamente avvelenato il primo giorno dell’anno, ed anche la sera della vigilia (…) E pensare che avevo fatto tutto il possibile perché passasse un buon primo giorno dell’anno: avevo appagati tutti i suoi “ghee” e fatto venire da Bologna un bel tartufo. Ma pare avesse più importanza la suscettibilità della Goldstein (che io non offesi in alcun modo) che non la mia povera vita. Adesso è tutto passato e , al solito, tutto perdonato. C’è – c’è sempre stata- (anche in te) quella maledizione dell’estero”.

da Atroce paese che amo. Lettere famigliari (1945-1953), Umberto Saba, Bompiani

Lascia una risposta

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>