al mio approdo, moneglia

Oltre, sopra un fitto manto del verde più profondo, una catena d’alti colli e scabri, spiccati in basso da un lungo e sottile nuvolario e come vaganti in alto nel terso del mattino, catena che s’incurva e che s’impenna, accidentata e vasta, verso l’occaso, in una bellissima montagna che di balza in balza precipita nel mare.
E più che avanza nel mezzo le braccia del gran golfo la nave mia e in dentro il calmo lago del suo porto, ecco che mi giungono i romori, bronzei e murmuranti di campane, spacconi di bombarde pei legni che vi salpano, e a mano a mano che più prossima si fa alla banchina, tra la boscaglia d’alberi e di vele, ove si scorge il brulicare d’òmini, animali, carrette e mercanzie, s’odon urla, frastuoni, tonfi, stridori e strepitii.
E a mano a mano io mi trovai a passare dal sogno e dall’incanto al risveglio più lucido, alla visione più netta delle cose, ne la luce di giugno più vere e crude, ch’invade l’animo mio d’incertezza e d’ansia pel futuro, finito questo tempo sospeso e irreale del viaggio.

da Retablo, Vincenzo Consolo, Sellerio

 

 

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