il discorso poetico e le lenzuola gualcite

Il discorso poetico è un processo incrociato, e si compone di due specie di suono: la prima di esse è il cambiamento – che noi possiamo udire e percepire – degli strumenti stessi del discorso poetico, emersi strada facendo nello slancio del discorso; la seconda è il discorso vero e proprio, ossia l’attività che, sul piano dell’intonazione e della fonetica, viene svolta da tali strumenti.
Concepita in questi termini, la poesia non è una parte della natura – si trattasse anche della sua parte migliore, più eletta – e, ancora meno, è un suo rispecchiamento, ciò che si tradurrebbe in un dileggio del principio di identità; ma con strabiliante indipendenza essa si installa in un campo d’azione nuovo, extraspaziale, impegnandosi non tanto a raccontare, quanto piuttosto a recitare la natura, attraverso i mezzi strumentari denominati volgarmente immagini.
Il discorso, o il pensiero, poetico soltanto in modo estremamente convenzionale può essere definito sonoro, poiché in esso noi udiamo soltanto l’incrociarsi di due linee, una delle quali, se presa a sé, è affatto muta, mentre l’altra, se presa al di fuori della sua metamorfosi strumentaria, è priva di qualsiasi interesse, e si presta a venir parafrasata, il che, a mio parere, è un indizio sicurissimo dell’assenza della poesia: giacché, dove un’opera si rivela commisurabile alla sua parafrasi, là non ci sono lenzuola gualcite, la poesia, per così dire, là non ha pernottato.

da Conversazione su Dante, Osip  Mandel’štam, Il Melangolo, trad.di Remo Faccani

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