Si uncinano cercando la nuca
la pelle tenera vicino agli occhi
per sfuggire la furia delle unghie e dei denti –
fino che si inturgidiscono di sangue:
se un colpo le stacca
la goccia cade
ma gli acuti rampioni restano affissati
dentro le carni
altrui
pur si aggrovigliano le zecche
umane si aspirano pungendosi –
di cemento si espande il disperato
nido,
la città delle zecche –
succhiano
succhiano per dimenticare.
da Il Dio delle zecche, Danilo Dolci, Mondadori